Àkuma |
Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l'immortale mano o l'occhio
Ch'ebbe la forza di formare la tua
Agghiacciante simmetria?
In quali abissi o in quali cieli
Accese il fuoco dei tuoi occhi?
Accese il fuoco dei tuoi occhi?
Sopra quali ali osa slanciarsi?
E quale mano afferra il fuoco?
Quali spalle, quale arte poté
Torcerti i tendini del cuore?
E quando il tuo cuore ebbe il primo
Palpito, quale tremenda mano?
Quale tremendo piede?
Quale mazza e quale catena?
Il tuo cervello fu in quale fornace?
E quale incudine?
Quale morsa robusta osò serrarne
i terrori funesti?
Mentre gli astri perdevano le lance
Tirandole alla terra e il paradiso
Empivano di pianti?
Fu nel sorriso che ebbe osservando
il suo lavoro,
Chi l'agnello creò, creò anche te?
Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale mano, quale immortale spia
Osa formare la tua agghiacciante simmetria?
(William Blake)
Amo questa poesia e la dedico al mio gattino scomparso un anno fa, investito come tanti ogni anno. Vivendo in campagna e vicino ad un incrocio sono ormai abituata ai gatti che vanno e vengono, che scompaiono per tornare dopo giorni o per non tornare affatto. Però Akuma era speciale, aveva lottato per vivere.
Masticato, letteralmente, dal cane di mia sorella, lo avevo accudito come meglio potevo nella speranza che sopravvivesse: lo adagiavo su un grosso peluche perché le ossa rotte non gli facessero male, lo imboccavo, già il fatto che riuscisse a mangiare era un buon segno, significava che non c'erano lesioni interne gravi, che altrimenti avrebbero tolto ogni speranza. A chi si chiederà perché non l'ho portato dal veterinario posso solo dire che appartengo a gente che è cresciuta in mezzo agli animali, che li rispetta ma non li umanizza, e lascia fare alla natura il suo corso. Ma soprattutto il fatto è che non avevo soldi per un veterinario, detto papale papale. Così gli ho dato amore e carezze, e ho sperato. Nei giro di qualche giorno ha risollevato la testa e poi tutto il resto, ed ho potuto accertarmi dei danni senza rischi. Una zampa anteriore era divenuta inutilizzabile, storta e se la sarebbe trascinata fino alla fine. La coda aveva preso una forma a ricciolo che lo rese unico. Lo chiamai Àkuma, demone. Perché era nero ed era scampato alla morte.
Era una scheggia, Akuma. Nonostante l'handicap correva tantissimo e mi tagliava la strada facendomi tirar giù i santi. Era un coccolone, Akuma. Quando ci riusciva se ne stava tranquillo a guardarmi lavorare con le piante a patto che ogni tanto allungassi la mano guantata per grattarlo sotto il mento. Quando non ci riusciva mi dava il tormento per una coccola. Avrei tanto voluto tenerlo in casa, perché avevo già previsto che prima o poi quella menomazione lo avrebbe messo in pericolo attraversando la strada nel periodo di calore, ma non è possibile tenere al chiuso un animale nato e cresciuto libero di muoversi. Ha vissuto i suoi giorni da leone a testa alta, coda ricciuta e zampetta elegante.