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mercoledì 11 dicembre 2013

Posted by Iride On 10:52
Àkuma

Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l'immortale mano o l'occhio
Ch'ebbe la forza di formare la tua 
Agghiacciante simmetria?

In quali abissi o in quali cieli
Accese il fuoco dei tuoi occhi?
Sopra quali ali osa slanciarsi?
E quale mano afferra il fuoco?
Quali spalle, quale arte poté
Torcerti i tendini del cuore?


E quando il tuo cuore ebbe il primo
Palpito, quale tremenda mano?
Quale tremendo piede? 
Quale mazza e quale catena?
Il tuo cervello fu in quale fornace?
E quale incudine?
Quale morsa robusta osò serrarne 
i terrori funesti?

Mentre gli astri perdevano le lance
Tirandole alla terra e il paradiso
Empivano di pianti?
Fu nel sorriso che ebbe osservando
il suo lavoro,
Chi l'agnello creò, creò anche te?


Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte, 
Quale mano, quale immortale spia
Osa formare la tua agghiacciante simmetria?


(William Blake)



Amo questa poesia e la dedico al mio gattino scomparso un anno fa, investito come tanti ogni anno. Vivendo in campagna e vicino ad un incrocio sono ormai abituata ai gatti che vanno e vengono, che scompaiono per tornare dopo giorni o per non tornare affatto. Però Akuma era speciale, aveva lottato per vivere. 
Masticato, letteralmente, dal cane di mia sorella, lo avevo accudito come meglio potevo nella speranza che sopravvivesse: lo adagiavo su un grosso peluche perché le ossa rotte non gli facessero male, lo imboccavo, già il fatto che riuscisse a mangiare era un buon segno, significava che non c'erano lesioni interne gravi, che altrimenti avrebbero tolto ogni speranza. A chi si chiederà perché non l'ho portato dal veterinario posso solo dire che appartengo a gente che è cresciuta in mezzo agli animali, che li rispetta ma non li umanizza, e lascia fare alla natura il suo corso. Ma soprattutto il fatto è che non avevo soldi per un veterinario, detto papale papale. Così gli ho dato amore e carezze, e ho sperato. Nei giro di qualche giorno ha risollevato la testa e poi tutto il resto, ed ho potuto accertarmi dei danni senza rischi. Una zampa anteriore era divenuta inutilizzabile, storta e se la sarebbe trascinata fino alla fine. La coda aveva preso una forma a ricciolo che lo rese unico. Lo chiamai Àkuma, demone. Perché era nero ed era scampato alla morte. 
Era una scheggia, Akuma. Nonostante l'handicap correva tantissimo e mi tagliava la strada facendomi tirar giù i santi. Era un coccolone, Akuma. Quando ci riusciva se ne stava tranquillo a guardarmi lavorare con le piante a patto che ogni tanto allungassi la mano guantata per grattarlo sotto il mento. Quando non ci riusciva mi dava il tormento per una coccola. Avrei tanto voluto tenerlo in casa, perché avevo già previsto che prima o poi quella menomazione lo avrebbe messo in pericolo attraversando la strada nel periodo di calore, ma non è possibile tenere al chiuso un animale nato e cresciuto libero di muoversi. Ha vissuto i suoi giorni da leone a testa alta, coda ricciuta e zampetta elegante.



sabato 9 novembre 2013

Posted by Iride On 10:38
Una soleggiata mattina di novembre hanno abbattuto il mio albero.
Quello che proteso sulla scala per vent'anni ha ascoltato i miei pensieri sussurrando in risposta, scuotendo amorevolmente le braccia sulla mia testa quando gli sedevo vicino, su un gradino, piena di ansie e preoccupazioni. Una botta di senilità ha deciso che era troppo grande, troppo ingombrante, troppo vicino alla casa. Una pianta che ha impiegato 30 anni a crescere buttata giù in un'ora o poco più. 
Per capriccio e motivi fantasiosi.
Vincevo l'estate sotto la sua chioma, adesso la luce autunnale in quel punto è accecante, il vuoto in quel punto dà le vertigini. È stato il mio primo modello quando mi esercitavo a disegnare, affidandogli i miei sogni sul mestiere dell'artista. È stato il mio più caro confidente. Siamo cresciuti insieme. 
 Sto rileggendo il libro di Jean Giono.

Un seme di carrubo impiega 40 giorni, a nascere.






9 novembre 2013

martedì 8 ottobre 2013

Posted by Iride On 10:56






Se esiste, Dio è davvero nella pioggia.

8 ottobre 2013

venerdì 13 settembre 2013

Posted by Iride On 19:48
14 Settembre 2013


Giudice dei tramonti.
Ecco, questo sarebbe un bel lavoro.
Guardare i tramonti e farne una classifica settimanale.
Potrei passare la vita a guardare il tramonto.
Il tramonto deve al giorno la sua bellezza, e che sia stato un buon giorno o un brutto giorno, quello splendore non gli è mai negato. Il crepuscolo è al di là della gioia e del dolore, la sua scia dorata ammalia come un fuoco fatuo, è una strada verso un luogo senza amore e senza odio, solo pace, notte.



In un'altra vita voglio fare il giudice dei tramonti.

martedì 28 dicembre 2010

Posted by Iride On 15:13

Sunrise in Paradise
Inserito originariamente da Artem Portnoy
Nei giorni festivi mi abbandono facilmente alla malinconia, e al ristagno, fisico e mentale.
In questa giornata ignava senza nuvole e senza sole ho ripensato ai tempi passati, di gran lunga peggiori del presente.
Così ho subito deviato la mente verso le piccole cose che mi rendevano felice un tempo, e che in parte mi sollevano lo spirito anche adesso.
Una volta c'era una poesia.
Una poesia semplice, limpida, di quelle che lette all'età giusta e con lo spirito giusto si imprimono nella mente più dei grandi virtuosismi di Pascoli o Leopardi. La lessi in quinta elementare sul libro di antologia. Ricordo ancora la copertina, verde, con la foto di una scolaretta seduta al banco, caschetto lungo biondo, che guarda il soffitto con una matita sulle labbra, il colletto del grembiule bianco e perfetto, nuovo come la matita, e lo sguardo limpido di chi non è ancora provato dalla vita e dagli estenuanti anni di studio.
Era una piccola poesia che notai grazie alla bella immagine che la sovrastava: un'alba argentata su una spiaggia tropicale, incorniciata ai lati da delle palme, una foto simile a questa.
Così faccio come quell'insopportabile fringuello felice di Julie Andrews in "Tutti insieme appassionatamente":
"I simply remember my favorite things, and then I don't feel so bad".

O almeno ci provo.



Chiesi all'alba: - Per quale prodigio
Ti sei svegliata così serena?
- Sorella - rispose - stanotte
Dormivo accanto alla luna piena.


- Per quale celeste comando,
Così fresca, riprendi la strada?
- Sorella - rispose - stanotte
Io mi tuffavo nella rugiada.


- Chi tesse, nell'ombra dei cieli,
I tuoi veli di pallido argento?
- Una stellina ignota,
La più piccola del firmamento.


Così errammo pel monte, cantando,
Empiendo di fiori le mani:
A un tratto ella sparve, nel sole,
Per tornare, più bella, domani.

Ada Negri

sabato 27 novembre 2010

Posted by Iride On 19:03
..mangiare una Goleador alla frutta dopo più di dieci anni.



lunedì 8 novembre 2010

Posted by Iride On 18:33
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