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domenica 8 settembre 2024

[Aforismi e arte] La creazione

Alberto Repetti - Una possibile scelta


"L’atto creativo è l’incontro fisico di due forze, una è la materia che posiamo su un foglio o una tela, l’altra è l’intenzione, l’azione, il gesto che lo strumento compie sul foglio o sulla tela.

Mettere e togliere, sia che lo si faccia con un pennello, con uno straccio o con un pezzo di carta, presuppone un percorso attraverso il quale il fine ultimo è quello di rappresentare.

Da una parte il risultato in termini di lettura del soggetto, dall’altra il racconto del suo sviluppo sulla superficie. Non è tanto il soggetto che l’autore dell’opera guarda e contempla, ma di ciò di cui che si è privato e che si svolge come un racconto, quel momento è testimonianza di esserci stato, di presenza infinita sul foglio o sulla tela."

 (A. Repetti)

venerdì 30 agosto 2024

Se non serve a nulla ...

“La bellezza sta nell’incontro fortuito, su un tavolo operatorio, di una macchina da cucire e un ombrello”.



Questa frase, di Isidore Ducasse (noto anche con lo pseudonimo di Lautréamont) è la sintesi di un movimento, quello dadaista che partiva da una visione extra ordinaria. André Breton nel primo Manifesto dadaista cita i Les Chants de Maldoror, dello stesso Ducasse, definendoli la nascita del Surrealismo.

L’opera di cui voglio parlare è Cadeau di Man Ray, inutile dire che le parole di Ducasse calzano alla perfezione, un ferro da stiro in ferro sulla cui piastra vengono saldati 14 chiodi di rame (l’originale è andato perduto e l’autore ha dato vita ad alcune repliche, ecco perché si possono riscontrare alcune differenze nei dettagli).

In un secolo di vita abbondante, l’opera è del 1921, si sono susseguite numerose letture, naturalmente pensare di comprendere una scultura dadaista è un’utopia, semmai possiamo tentare di trarre una nostra personalissima interpretazione.

Il ferro da stiro, che ci può condurre in un ambiente legato alla sartoria, alla moda, al teatro, viene accostato ai chiodi che fanno pensare al lavoro manuale, ai cantieri, alle falegnamerie, due mondi lontani e al contempo meno distanti di quanto si potrebbe pensare.

Se il ferro da stiro e i chiodi hanno uno specifico compito, uniti perdono il loro “senso” e si annullano a vicenda, questo è il fine dell’operazione, togliere un oggetto costruito per un uso specifico e trasformarlo in un’opera il cui scopo è quello di trasformarsi in opera d’arte.

D’altro canto se sono in molti a pensare che questa non possa essere annoverata nella schiera delle opere d’arte. Penso che tutti saremo concordi che non può certo essere materialmente utile.

La provocazione, perché in fondo il movimento dada questo era, serve a spingere la visione artistica del tempo oltre i canoni consolidati, senza questa apertura staremmo viaggiando su strade più “sicure” ma concettualmente più limitanti.

L’opera nell’immagine è custodita alla Tate Modern di Londra.

venerdì 23 agosto 2024

Linee guida (essenziali)

“L’arte non è riproduzione, è invenzione”

Giorgio Michetti

Giorgio Michetti – Reti, 1985 - Affresco su tavola, cm. 33x41



venerdì 16 agosto 2024

Arte o degrado?


Domanda retorica, ciò che voglio raccontare non va alla ricerca di una risposta ma cerca di capire quale, e quanto, sia il disagio di molta gente.

Passeggiando all’interno di un parco situato vicino alla costa romagnola ci si può imbattere in piccole costruzioni rurali abbandonate, spesso si tratta di piccole case inutilizzate che testimoniano di un tempo più o meno lontano.

A volte questi luoghi silenziosi, lontani, concettualmente (anche se a poche centinaia di metri dalle spiagge affollate) dalle masse urlanti alla ricerca di rumore, caos, sovraffollamenti, sono abbandonati a sé stessi, in balia di personaggi alienati, in preda all’alcool, che deturpano e danneggiano panchine, fontane, alberi al punto che il disfacimento è percepito ad un primo sguardo.

Non è però il caso di questo parco, a pochi metri dalle spiagge di Cesenatico, dove possiamo incontrare persone che corrono, passeggiano, accompagnano gli amici a quattro zampe.

L’incontro non è solo con esseri umani, ci imbattiamo in scoiattoli, uccelli, anatre, aironi, tartarughe, un’oasi di pace a pochi passi dal caos più totale.

Prati e alberi curati, panchine intonse, cestini regolarmente svuotati e zero spazzatura per terra.

Ma c’è sempre l’eccezione, una piccola costruzione in mattoni si inserisce perfettamente in questo “quadro” naturale, seppure in disuso è dignitosamente curata, peccato che i soliti scribacchini “urbani” abbiano messo la propria firma, scritte, che loro pretendono di considerare arte, che danno all’insieme un palese senso di degrado.

Nonostante sia l’unico segnale in questa, triste, direzione, non passa inosservato, davanti alla piccola costruzione c’è un laghetto dove nuotano numerose tartarughe, il paesaggio è da fiaba ma quelle scritte ci riportano alla realtà, realtà che ci riporta a sua volta ai luoghi rumorosi che abbiamo raccontato poco fa.

Secondo alcuni imbrattare i muri è una forma di espressione legittima, peccato che spesso, oltre all’inciviltà data della mancanza di rispetto per le cose altrui, non ci sia alcuna espressività, chi scarabocchia sui muri non vuole dirci nulla di particolarmente profondo, non sapendo “costruire” si limita a distruggere.

giovedì 8 agosto 2024

Il turbinio delle emozioni più intense

Howard Hodgkin – Amanti, 1984-89 - Olio su tavola  cm 54 x 65 - Collezione privata


Astrazione “realistica”? al primo sguardo non c’è nulla che possa riportarci  a ciò che di reale possiamo vedere quotidianamente o saltuariamente, è il titolo che ci svela il soggetto del dipinto.

Un vortice di colori che si avvinghia a sé stesso rappresentando cosi la passione dell’incontro di due amanti.

Passione che esplode in tutte le direzioni, il turbinio cromatico va ad occupare anche la cornice, Hodgking spesso dipingeva utilizzando tavole di legno già incorniciate, in questo modo il quadro veniva coinvolto nella sua totalità.

L’ispirazione che ha portato il pittore inglese a realizzare questi soggetti è giunta dopo un viaggio in India dove emerge la spiritualità legata alle passioni terrene, tutto evidenziato dall’intensità cromatica.

I colori brillanti, il movimento incessante delle forme, la proiezione in una dimensione immateriale, sono gli ingredienti di un’opera che vuole raccontare sensazioni “altre” e intense emozioni.

giovedì 1 agosto 2024

Rompere la perfezione del silenzio (e qualcos'altro)

“Quanto schifo in queste opere d'arte... perchè si è comunque arte ma è arte che fa pena... Michelangelo, Leonardo e Buonarroti, ecc, ecc, ecc si stanno rigirando nella tomba”.


Questo commento, che riporto pari pari, è uno dei tanti esempi del pubblico che infesta il web con frasi che non hanno alcun senso.

Le parole, scritte dal solito anonimo che si nasconde dietro ad un nickname (perché oggigiorno metterci la faccia non va di moda) fanno da corollario ad un video dedicato all’arte del secondo dopoguerra dove brevemente si racconta dell’evoluzione artistica del tempo, molti gli artisti nominati, Burri, Fautrier, Hartung, Dubuffet, Fontana, Soulages, Tàpies e Mathieu (nell’immagine una sua opera del 1952).

Il commento presenta una serie di “limiti” mentali e culturali che fanno impallidire e che purtroppo sono più frequenti di quanto possiamo pensare.

Innanzitutto definire “schifo” ciò che non si comprende è quantomeno scorretto, è una questione di educazione, invece di approfondire, di cercare di capire perché una cosa non ci piace, è più semplice denigrarla.

Enorme contraddizione con “... è comunque arte ma è arte che fa pena ...”, il nostro/nostra amico/a denigra le opere ma, andando contro ogni logica, le considera opere d’arte, il fatto che aggiunga che si tratta di arte che fa pena …

Altro punto nevralgico è la pessima abitudine, molto comune, di paragonare opere di diversi periodi storici, mettere in competizione la “Venere di Urbino” di Tiziano con un “Achrome” di Manzoni non ha alcun senso.

Ma se proprio non è possibile farne a meno e vogliamo tirare in ballo artisti del passato, quando si parla di arte contemporanea, sarebbe auspicabile andare oltre i soliti nomi, Leonardo, Michelangelo, Raffaello o Caravaggio (se sostituiamo quest’ultimo con Donatello ecco che abbiamo le Tartarughe Ninja, forse è per questo che sono conosciuti da certa gente). Se si ha anche una leggerissima “infarinatura” di storia dell’arte, è impossibile non ampliare l’elenco con moltissimi altri nomi, tirare in ballo i soliti quattro è sinonimo di assenza di conoscenza dell’argomento.

Ma il nostro anonimo esperto d’arte riesce ad andare oltre “Michelangelo, Leonardo e Buonarroti” solo questo basta per far capire che il fondo del barile è raggiunto e che gli scavi sono in atto.

E pensare che sarebbe sufficiente evitare di commentare.

Questo però non è un commento isolato, video lezioni, articoli, spunti, tutto quello che è divulgazione artistica, e da la possibilità di interagire, è sommerso da una marea di considerazioni e giudizi (soprattutto gli ultimi) che spesso nulla hanno a che fare con l'argomento, osservazioni che non cercano la civile discussione, un confronto, si sparano sentenze senza motivare ciò che si scrive, le parole che aprono il post sono solo lo spunto per sottolineare quanto sia diffusa questa abitudine (non solo nell'arte). 

martedì 23 luglio 2024

Il contesto dell'arte e le deviazioni concettuali

È triste la notte

Tra le nubi scure

Il suo tetto è il cielo

La mente è vagante

Dentro un labirinto

Senza via d’uscita


Se prendiamo due opere, l’una pittorica, l’altra una poesia, le decontestualizziamo, le uniamo come se si trattasse di un’opera unica e ne “ritocchiamo” l’aspetto visivo, possiamo ottenere qualcosa di diverso da quello per cui sono state create?

La poesia di Sara Acireale non lascia spazio a molti fraintendimenti, va dritta al punto raccontando le sensazioni claustrofobiche dei momenti più cupi della vita di molti.

Il “Cappio” di Michelangelo Pistoletto invece, anche se non può sembrare cosi, permette molte interpretazioni, più o meno serie, più o meno cupe.

In apertura al post ho affiancato alla poesia l’immagine dell’opera di Pistoletto (serigrafia su carta argentata, 1973) ritoccata in modo da renderla più tetra, il risultato è di sicuro impatto ma non è quello che gli autori volevano trasmettere (perlomeno per ciò che riguarda l’artista biellese).

Una di queste serigrafie fa mostra di sé nello studio-sala da pranzo nella casa dello stesso Pistoletto, secondo lui il cappio non rappresenta il lato più cruento ma quei legami che non ci permettono la massima libertà, non è detto che si tratti di legami negativi o fastidiosi anzi, legami affettivi che siamo felici di avere ma che influenzano inevitabilmente le nostre scelte.

Un aneddoto racconta che Gianni Agnelli si recò a casa di Luca Cordero di Montezemolo il giorno delle sue nozze, portava con sé un regalo per la copia, naturalmente stiamo parlando dell’opera in questione realizzata da Pistoletto.

Tra il serio e il faceto Agnelli omaggia gli sposi di un’opera d’arte e al contempo sottolinea quello che, secondo lui, è il matrimonio.

Il cappio di Pistoletto dunque è lontano da quello che potrebbe apparire affiancato alla poesia della Acireale, le due opere assieme raggiungono un livello tragico altissimo, separate prendono una strada, anche se non completamente diversa, sicuramente meno angusta.



Michelangelo Pistoletto - Cappio 1973- Serigrafia a specchio su policarbonato cm 82x58,5




 

lunedì 15 luglio 2024

Ma alla fine c'è sempre una speranza

Pochi giorni fa è scomparso Bill Viola, artista newyorkese, a tutti gli effetti una delle massime espressioni dell’arte contemporanea, considerato il padre della video art.

Per ricordarlo ho scelto “The raft”, opera del 2004.


Bill Viola, con quest'opera, ha rappresentato il mondo, l’umanità, prima e dopo un cataclisma immane, una moderna “Zattera della Medusa”.

Il video ci mostra un gruppo eterogeneo di persone, diversi per genere, etnia, stato sociale, sono disconnesse l’una dall’altra, sono sospese in un’attesa "a tempo" dove sembra poter accadere qualunque cosa in qualsiasi momento ma nessuna delle diciannove figure pensa ad altro che non a sé stessa.

Il mondo dove il gruppo è collocato è quello contemporaneo dove però è assente ogni riferimento ambientale, niente cielo, niente terra, non ci sono alberi, non ci sono costruzioni di alcun tipo, è tutto asettico, nulla si è formato o tutto è scomparso.

All’improvviso  un getto d’acqua investe il gruppo che ne viene travolto, nemmeno il tempo di rendersi conto dell’accaduto che un altro violento flusso colpisce dalla parte opposta, un autentico diluvio che sommerge tutto (anche se del tutto c’è solo il suo contrario) e tutti.

Ad un certo punto il cataclisma perde forza fino a scomparire, ciò che resta è un cumulo di “macerie” umane, questa distruzione però non riesce a radere al suolo qualunque stato d’animo anzi, quelle che erano persone isolate dalle altre mutano il loro modo di agire, si aiutano a vicenda cercando di dare conforto all’altro e cercando a propria volta conforto nell’altro.

Bill Viola con quest’opera ci dona un po’ di speranza, forse è proprio nei momenti difficili che emerge quel senso di umanità che a volte pensiamo sia in via d’estinzione.