Modello svedese

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Cartina geografica della Svezia

Per modello svedese, modello scandinavo o modello nordico s'intende il peculiare sistema socio-economico affermatosi progressivamente in Svezia e negli altri Paesi nordici (Norvegia, Finlandia, Danimarca, Islanda)[1].

Questo modello include uno stato sociale globale e una contrattazione collettiva multilivello,[2] integrata nei meccanismi propri di un sistema capitalistico,[3][4][5] con un'alta percentuale della forza lavoro sindacalizzata e una grande percentuale della popolazione occupata nel settore pubblico.[6] In questo senso, è considerato da alcuni una sintesi di successo tra le caratteristiche del sistema socialista e quelle del sistema liberista.[7][8]

Sebbene ci siano differenze significative tra i Paesi nordici,[9] tutti condividono alcuni tratti comuni. I paesi nordici sono descritti come altamente democratici e hanno tutti una forma di governo unicamerale e utilizzano sistemi elettorali proporzionali. Tutti questi paesi sostengono uno stato sociale universalista mirato specificamente a migliorare l'autonomia individuale e promuovere la mobilità sociale; un sistema corporativistico che prevede un accordo tripartito in cui i rappresentanti del lavoro e dei datori di lavoro negoziano i salari e la politica del mercato del lavoro mediata dal governo;[10] e un impegno per la proprietà privata all'interno di un'economia mista basata sul mercato[11] con la Norvegia che costituisce un'eccezione parziale a causa di un gran numero di imprese statali e di proprietà statali in società quotate in borsa.[12] A partire dal 2020, tutti i paesi nordici si collocano in cima all'Indice di Sviluppo Umano corretto per le disuguaglianze (ISUD) e all'Indice della Pace Globale (GPI), oltre ad essere tra i primi nel World Happiness Report.[13]

Il modello svedese si è originariamente sviluppato negli anni trenta per effetto delle politiche di governo dei partiti socialdemocratici e laburisti[14], nonostante anche altri partiti e sindacati hanno contribuito al suo sviluppo.[15] Il modello svedese iniziò a guadagnare attenzione dopo la seconda guerra mondiale[16], e negli ultimi decenni è stato trasformato in alcuni aspetti, includendo l'incremento di deregolazioni e privatizzazioni;[3][17] tuttavia, la spesa per i servizi di welfare in questi paesi è rimasta comunque molto alta (rispetto alla media europea), e viene garantito un elevato livello di protezione sociale, definito spesso "dalla culla alla tomba", assieme ad una forte promozione dell’uguaglianza di status.[18][19]

Il modello economico svedese non è da confondere col cosiddetto "modello svedese" in materia di prostituzione, in vigore dagli anni '90 e 2000 in Svezia, Islanda e Norvegia, per il quale è opportuno parlare di modello abolizionista o neo-proibizionista, in quanto si pone l'obiettivo di abolire la prostituzione, vietando l'acquisto di prestazioni.

Contesto e storia

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Il modello svedese prese le mosse dal "grande compromesso" tra lavoratori e datori di lavoro, supportato dai partiti agrari e operai negli anni '30 (ad esempio l'Accordo di Saltsjöbad e l'Accordo di Kanslergade). Le caratteristiche principali del modello svedese, tra cui la coordinazione centralizzata degli accordi sui salari tra datori di lavoro e sindacati, portò ad una pacificazione del conflitto di classe tra lavoro e capitale.[5]

Aspetti come la sicurezza sociale e la contrattazione collettiva vennero meno a seguito degli squilibri economici dei vari paesi negli anni '80, e negli anni '90 le crisi finanziarie portarono a una diminuzione dei finanziamenti pubblici, soprattutto in Svezia e Islanda. Tuttavia, la spesa pubblica rimase alta in questi paesi, rispetto alla media degli altri paesi europei.[20]

Il sistema presenta tali caratteristiche:

  • programmi universalistici di benessere sociale nazionali (assistenza sanitaria universale, diritto all'istruzione gratuita, sistema previdenziale)[7];
  • alta spesa pubblica, causata dal numero molto elevato di dipendenti pubblici, utilizzata per finanziare le indennità di disoccupazione e i pensionamenti anticipati, e assicurazioni sociali collegate al reddito[7]; i disoccupati sono in grado di ricevere indennità per molti anni prima delle riduzioni, rispetto alle riduzioni veloci delle indennità degli altri Paesi; la spesa pubblica per la sanità e l'istruzione è significativamente più alta in Danimarca, Svezia e Norvegia rispetto alla media OCSE;
  • politica fiscale egualitaria[7]; la pressione fiscale complessiva è fra le più alte al mondo; l'imposizione fiscale è progressiva, cioè i redditi più elevati pagano una percentuale di imposte più che proporzionale rispetto ai redditi più bassi, anche al fine di ridistribuire il reddito;
  • attività politica di occupazione finalizzata al pieno impiego; politiche del lavoro finalizzate all'incremento della mobilità occupazionale ed estesi programmi di formazione[7];
  • bassa regolamentazione del mercato, grande facilità d'impresa e basse barriere al libero commercio, combinati con i meccanismi collettivi di “condivisione dei rischi” che proteggono i cittadini contro le conseguenze negative della concorrenza straniera e della nuova tecnologia[7];
  • posizione forte dei sindacati[7]; partnership tra datori di lavoro, sindacati e il governo, per cui i termini per regolare il lavoro sono negoziati tra queste parti sociali, piuttosto che essere imposti dalla legge;
  • bassi livelli di corruzione.

Esperimenti di autogestione

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Durante il governo di Olof Palme si tentò di mettere in atto il "piano Meidner", elaborato nel 1971 dall'economista Rudolf Meidner, vicino alla LO, principale sindacato svedese, particolare esperimento di socializzazione o socialismo autogestionario/mutualismo che non prevedeva una grande proprietà pubblica né una statalizzazione forzata con aziende totalmente pubbliche; esso sosteneva il graduale trasferimento a fondi gestiti dai sindacati e da cooperative, di sempre maggiori quote del capitale azionario delle grosse imprese (configurandosi come un'originale cooperazione-cogestione con partecipazione agli utili e azionariato popolare tra dipendenti su spinta dello Stato) e fu uno dei progetti più audaci del socialismo riformista europeo. Tuttavia non riuscì mai ad essere messo completamente in pratica, né la Svezia adottò una totale economia pianificata (che fosse di tipo collettivista o mista) né il capitalismo di Stato, seppur vicina ad una forma di economia socialista moderata.

  1. ^ Carsta Simon, Why Norwegians Don't Have Their Pigs in the Forest: Enlightening the Nordic Art of 'Co-operation', in Behavior and Social Issues, vol. 26, 20 dicembre 2017, p. 172, DOI:10.5210/bsi.v26i0.7317, ISSN 1064-9506 (WC · ACNP).
  2. ^ Kjellberg, Anders (2019). "Sweden: Collective Bargaining Under the Industry Norm". In Müller, Torsten; Vandaele, Kurt; Waddington, Jeremy, eds. (2019). Collective Bargaining in Europe: Towards an Endgame. Brussels: European Trade Union Institute. III. pp. 583–604. ISBN 978-2-87452-514-8.
  3. ^ a b Jeffrey Sachs, Revisiting the Nordic Model: Evidence on Recent Macroeconomic Performance, in Perspectives on the Performance of the Continental Economies, Center for Capitalism & Society, Venice Summer Institute, 2006, pp. 387-412, DOI:10.7551/mitpress/9780262015318.003.0012, ISBN 9780262015318.
    «First, like the Anglo-Saxon economies, the Nordic economies are overwhelmingly private-sector owned, open to trade, and oriented to international markets. Financial, labor, and product market forces operate powerfully throughout non-state sector. In short, these are capitalist economies. [...] Second, there is no single Nordic model, and still less, an unchanging Nordic model. What has been consistently true for decades is a high level of public social outlays as a share of national income, and a sustained commitment to social insurance and redistributive social support for the poor, disabled, and otherwise vulnerable parts of the population.»
  4. ^ Rosser, J. Barkley; Rosser, Marina V. (2003). Comparative Economics in a Transforming World Economy (2nd ed.). Cambridge, Massachusetts: MIT Press. p. 226. ISBN 978-0-262-18234-8.
  5. ^ a b Henry Simon Reid, The Political Origins of Inequality: Why a More Equal World Is Better for Us All, University of Chicago Press, 2015, p. 132, ISBN 978-0226236797.
  6. ^ The Nordic countries: The next supermodel, in The Economist, 2 febbraio 2013. URL consultato il 27 luglio 2016.
  7. ^ a b c d e f g Né liberista né socialista: è la Svezia la vera terza via, su linkiesta.it, 30 settembre 2012. URL consultato il 6 marzo 2013 (archiviato dall'url originale il 3 settembre 2013).
  8. ^ Edoardo Petti, Le critiche di D’Alema alla Terza Via? Frutto della presunzione storica del Pci. Parla Pellicani, in Formiche.net, 1º dicembre 2014.
  9. ^ Kenworthy Lane, Social Democratic America, New York, Oxford University Press, 2013, p. 138, ISBN 9780199322527.
  10. ^ Alexander Hicks, Social Democracy and Welfare Capitalism: A Century of Income Security Politics, Cornell University Press, 20 gennaio 2000, p. 130, ISBN 978-0801485565.
    «By the late 1950s, labor had been incorporated alongside Swedish business in fully elaborated corporatist institutions of collective bargaining and policy making, public as well as private, supply-side (as for labour training) as well as demand side (e.g., Keynesian). During the 1950s and 1960s, similar neocorpratist institutions developed in Denmark and Norway, in Austria and the Netherlands, and somewhat later, in Belgium and Finland.»
  11. ^ Martin Sandbu, What the Nordic mixed economy can teach today's new left, in Financial Times, 28 agosto 2018. URL consultato il 3 dicembre 2019.
  12. ^ Norway: The rich cousin, in The Economist, 2 febbraio 2013. URL consultato il 27 ottobre 2014.
  13. ^ John Helliwell, Richard Layard, Jeffrey D. Sachs e Jan Emmanuel De Neve, World Happiness Report 2020, su worldhappiness.report, United Nations Sustainable Development Solutions Network, 20 marzo 2020. URL consultato il 3 dicembre 2020.
  14. ^ Christa Liukas, The Nordic brand replaced the welfare state – did politics disappear from the Nordic model?, su helsinki.fi, University of Helsinki, 1º novembre 2019. URL consultato il 15 agosto 2020.
  15. ^ Jon Erick Dolvik, Tone Flotten, Jon M. Hippe, Bard Jordfald, The Nordic Model towards 2030: A New Chapter? NordMod2030, 2015, p. 23, ISBN 978-82-324-0185-7.
    «The Nordic model therefore cannot exclusively be tied to social democratic party support and political dominance. In Sweden, Denmark and Norway, where the social democrats held power for large periods from the 1930s onwards, that description fits better than it does for Finland and Iceland, where centrist and right-leaning parties have set the terms of debate. But in these countries, too, the building of strong labour unions – in line with Walter Korpi's power resource mobilization thesis (Korpi 1981) – was crucial to the central role of labour and employer organizations in developing universal welfare schemes. A variety of modern social security programmes, whether sickness benefits or pensions, first appeared in negotiated collective agreements. It is moreover likely that inspirational ideas and learning experiences that passed between Nordic countries also transcended party lines within these countries.The political underpinnings of the Nordic model have thus been built on broadbased power mobilization and a higher degree of balance between the core interests in society than is evident in most other countries.»
  16. ^ Klaus Petersen, Constructing Nordic Welfare? Nordic Social Political Cooperation (PDF), in Christiansen, Edling, Haave e Petersen (a cura di), The Nordic Model of Welfare: A Historical Reappraisal, Copenaghen, Museum Tusculanum Press, marzo 2009, pp. 67-96. Ospitato su Helsinki University.
  17. ^ (EN) Mikko Kautto, Kati Kuitto, The Nordic Countries, in The Oxford Handbook of the Welfare State, dicembre 2021, pp. 802–825, DOI:10.1093/oxfordhb/9780198828389.013.46, ISBN 978-0-19-882838-9.
  18. ^ https://www.treccani.it/enciclopedia/i-sistemi-di-welfare-in-europa-e-nel-mondo_%28Atlante-Geopolitico%29/
  19. ^ https://www.treccani.it/enciclopedia/welfare-state/
  20. ^ Noralv Veggel, The Nordic Model – Its Arrival and Decline, in Global Journal of Management and Business Research: Administration and Management, vol. 14, n. 9, 2014, pp. 60-94, ISSN 2249-4588 (WC · ACNP). URL consultato il 30 marzo 2020.

Voci correlate

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