Donatella Stasio e la Consulta

Donatella Stasio

Donatella Stasio

Donatella Stasio via dalla Consulta? Un “suicidio” mediatico. Per la Corte, ovviamente. Ma un lutto per tutti noi, che in questi cinque anni abbiamo vissuto - con progressiva sorpresa e meraviglia (e perché no? anche con un pizzico di invidia) - l’incredibile trasformazione del giudice delle leggi. Da casa dei silenzi a casa della trasparenza. Da chiuso “sentenzificio” a palazzo di vetro della Costituzione. Una Carta che rivive ogni volta in ogni nuova decisione. All’insegna della forza della Carta stessa, e non delle camarille di una camera di consiglio. Tra divisioni e giochi di maggioranze e minoranze tutte in stile politico.

Grazie a Donatella Stasio, che stimo da quando l’ho scoperta come collega al Sole 24 ore ormai trent’anni fa, la Consulta ha compiuto un incredibile salto istituzionale. Prima faceva il suo lavoro. Chiusa nel suo palazzo. Dopo ha aperto le sue porte. Ma soprattutto è scesa nel mondo per “vedere” e “misurare” quanto la Costituzione lo permeasse. Indimenticabile quel giorno a Rebibbia, detenuti e giudici di fronte per la prima volta per il viaggio della Corte nelle carceri, e le domande dei primi ai secondi da pari a pari. E via via le tante sentenze che prendevano vita grazie ai tempestivi comunicati scritti da Donatella che, in poche righe, traducevano decisioni giuridiche rendendole comprensibili e appetibili.

E che dire del viaggio nelle scuole? I giovani hanno a scoperto cos’era la Carta e cos’era la Consulta. Ed ecco quei giudici misurarsi con la vita e le domande di tutti i giorni. Un miracolo. Che non ha precedenti in Italia. E dietro cui c’era la mano di Donatella. Che ha fatto parlare la Corte e i suoi giudici attraverso i podcast. Dozzine su dozzine, in cui i giudici stessi sono diventati una voce e quindi una persona che ha fatto camminare il diritto.

C’ero anch’io - quella notte del 22 luglio 2022 - in piazza del Quirinale ad ascoltare il concerto del maestro Piovani. Che traduceva in musica la voglia degli italiani migliori di stare dalla parte dell’Ucraina, contro la guerra. Ed era bello vedere la chioma di Sergio Mattarella in prima fila, bello vederlo uscire dal Quirinale e mescolarsi tra la gente, bello ascoltare gli applausi convinti. E che il merito di tutto questo fosse di Donatella Stasio era e resta  “la” notizia.

Perché non v’è chi non sappia - dentro e fuori la Corte - che tutto questo è stato il frutto del suo quotidiano, continuo, insistente lavoro. E che tutto questo finisca all’improvviso mette tristezza, ma soprattutto angoscia. Sì, mette paura l’idea di una Corte che si richiude nel suo bozzolo. Paura perché quello che è stato non potrà più essere, per la semplice ragione che solo le gambe delle persone fanno camminare le idee. E perché non esiste - a mia memoria - un’altra Donatella Stasio che come lei creda profondamente e ami la nostra Carta costituzionale. Un “amore” che proprio adesso, mentre la voglia di cambiare la Carta entra con prepotenza a palazzo Chigi, è davvero delittuoso perdere.

Mancano le toghe? Via l’abuso d’ufficio

Intervista Ermini a Repubblica

Intervista Ermini a Repubblica

Fantastico!!!! Il vice presidente del Csm David Ermini lancia l’allarme sul rischio che la giustizia si blocchi nel 2024 perché mancheranno i magistrati. E dal candidato Guardasigilli della Meloni, la toga in pensione Carlo Nordio, cosa arriva? Uno dei must più gettonati della propaganda del centrodestra. Buttiamo nel c…estino il reato di abuso d’ufficio perché i poveri sindaci, sennò, vengono incriminati. Ma guarda un po’…e se invece rigassero dritto e rispettassero le regole? Questo, unito alla revisione dei codici e al sorteggio per il Csm, ci dice che la gestione della giustizia, se il centrodestra vince, sarà una catastrofe. O peggio, un déjà vu modello Berlusconi-Alfano.

La bufala delle carriere

Fantastico!!! Repubblica racconta che i processi rischiano di bloccarsi per mancanza di giudici, e Berlusconi che fa? Rilancia subito sulla separazione delle carriere. Riforma inutile e per giunta controproducente, perché il pm diventerà l’avvocato della polizia, e gli imputati saranno ancora più a rischio. Ma gli slogan contano più dei fatti. Eppure proprio Berlusconi, da imputato, dovrebbe saperlo…

Tanto sono donne…

Fantastico!!! Una donna viene uccisa a martellate a Bologna. Aveva denunciato lo stalker, ma erano in corso gli accertamenti… (ahahahahahaha!!!!). E che fa la politica del centrodestra? Pensa alla separazione delle carriere (tempi medi: 5 anni). A scrivere nuovi codici (tempi medi: 5 anni). Alla responsabilità civile dei giudici (tempi medi: 5 anni). Finora le donne uccise sono 211. In 5 anni supereranno il migliaio. E chissenefrega…tanto sono donne…

Maresca, una doppia sconfitta

 

Catello Maresca

Catello Maresca

Il caso Maresca - la toga anticosche che si candida a Napoli per il centrodestra - è il gravissimo segno di una doppia sconfitta e di una duplice contraddizione. Da una parte lui non ha avvertito il dovere - si badi, il dovere, non la sensibilità o l’opportunità - di lasciare con almeno sei mesi di anticipo la magistratura per non coinvolgere la sua toga nell’agone politico. Usiamo la parola giusta, per non “compromettere” la sua toga. Dall’altra il centrodestra, che strumentalmente strepita per una legge severa in casi come questo, approfitta invece del ghiotto boccone della propaganda che Maresca gli offre sul piatto. Una vergogna. Che ha una sola conseguenza: in totale assenza da parte di un magistrato del rispetto costituzionale per la propria indipendenza, si faccia subito una legge severissima che impone al giudice che vuole scendere in politica un anno di  aspettativa. Ovviamente, una volta divenuto un politico, egli non torni mai più a esercitare la giurisdizione. Ma è incredibile che - individualmente - non si avverta il dovere di comportarsi così anche se una legge non c’è. Quanto al centrodestra, dopo questa vicenda, ha perso ogni diritto di parola.

Creazzo in pensione? Il disciplinare prosegua

Il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo

Il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo

Ma chi ha detto che il processo disciplinare al procuratore di Firenze, tuttora in carica, Giuseppe Creazzo, per aver disturbato sessualmente Alessia Sinatra - come lei sostiene mentre lui nega - si debba chiudere automaticamente solo perché Creazzo medesimo chiede di andare in pensione? Tutt’altro. Anche se al Csm - contenti di liberarsi della grana - già pensano di sposare proprio questa soluzione. Peraltro, in questo caso, costretti a rinviare sine die le udienze disciplinari visto che Creazzo non vuole andare in pensione subito, ma ha chiesto di volerlo fare solo per la fine dell’anno.

E allora, se resta in servizio, perché non andare avanti con le udienze disciplinari e giungere alla conclusione, visto che contemporaneamente si svolge il processo disciplinare contro Sinatra “colpevole” - secondo la procura generale della Cassazione - di averlo definito “un porco” per via delle sue (presunte) avances?

Il processo disciplinare deve proseguire dopo essersi posti una semplice domanda: esiste un “interesse“ generale, al contempo pubblico e istituzionale, a chiarire che cosa sia effettivamente accaduto cinque anni fa in quel benedetto corridoio di un albergo romano? Sicuramente questo “interesse” esiste. Per numerose, e buone ragioni.

La prima ragione. 

Ormai questa vicenda è divenuta pubblica. E getta fango su una magistratura già abbondantemente infangata. La procura generale della Cassazione ha deciso (secondo me sbagliando, come ho già scritto in un precedente commento) di mettere sotto processo disciplinare sia Sinatra, per aver parlato con Palamara chiamando “porco” Creazzo, sia Creazzo stesso per il suo comportamento.  A questo punto i due processi devono chiudersi e giungere al giudizio definitivo sulle rispettive responsabilità. Solo in caso di morte sarebbe ovviamente scontato uno stop.

La seconda ragione. 

Esiste, quindi, un interesse dello Stato all’accertamento della verità e alla conseguente sanzione. Se Creazzo sarà ritenuto responsabile lascerà la toga con disonore. All’opposto, se non lo sarà, potrà dire di essere stato accusato ingiustamente. Ma di certo la soluzione peggiore - peggiore per l’interesse generale alla trasparenza della giustizia - sarebbe quella di lasciare nell’incertezza e nell’oscurità  questa vicenda. Sarebbe un danno incalcolabile. Sul quale, in questo Csm nella bufera per il caso Palamara prima e per il caso Amara poi, dovrebbero riflettere con grande attenzione. Troppo comoda la fuga dalle dure responsabilità del giudizio definitivo e chiarificatore.

La terza ragione. 

Questa vicenda mette in discussione l’onore di due toghe. Entrambe con un passato e un presente importante. Creazzo, procuratore di Firenze oggi, e di Palmi prima, magistrato che ha condotto le inchieste su Renzi e la sua famiglia. Dovrebbe essere suo primo interesse, anche andando in pensione, di uscire dalla carriera senza ombre personali di alcun genere. Quanto a Sinatra, per la sua età, la verità su questa storia è un obbligo. Avrebbe dovuto denunciare subito la faccenda, ha fatto male a non farlo, ma le chat con Palamara, divenute di pubblico dominio, adesso esigono chiarezza.

La quarta ragione. 

La procura generale della Cassazione ha esercitato l’azione disciplinare contro Sinatra e Creazzo. Quindi, ora, deve accollarsi l’onere di raggiungere il verdetto. Perché è inammissibile che Creazzo vada in pensione evitando il giudizio. Di innocenza o di colpevolezza che sia. Se Creazzo avesse deciso di andare in pensione domani, ci sarebbero sufficienti ragioni per proseguire ugualmente il giudizio perché, come scrive il Consiglio di Stato in una sentenza del febbraio 2019, “è ammessa in via generale la possibilità di avviare il procedimento disciplinare anche nei confronti di un dipendente cessato dal servizio ove vi sia un interesse giuridicamente qualificato dell’Amministrazione”. Ed è fuor di dubbio che l’interesse in questo caso vi sia. Ma poiché Creazzo stesso vuole restare in servizio fino alla fine dell’anno, non vi è ombra di dubbio che il processo disciplinare “deve” proseguire e concludersi.

La quinta ragione. 

Riguarda la carriera di Alessia Sinatra. Che, giunta a questo punto, deve uscire dalla vicenda con una conclusione certa. Ha prodotto dei testimoni. Che confermano la sua versione. Va pesato il loro valore in udienza. E i giudici non possono voltarsi dall’altra parte. E non possono farlo solo nel suo processo, in cui la pm di Palermo è accusata per via delle chat con Luca Palamara. Devono farlo in quello di Creazzo, che risponde del fatto di cinque anni fa.

La sesta ragione. 

Riguarda Creazzo medesimo. Il suo onore di magistrato. Ma soprattutto di uomo. Non può lasciare la magistratura con questa ombra. Affronti il giudizio. Se non ha fatto nulla lo dimostri. Ma non fugga. Perché la sua fuga colpirebbe non solo lui ma tutta la magistratura.

Sinatra-Creazzo, il diritto alla parità

Alessia Sinatra

Alessia Sinatra

Il caso lo ricordate tutti. Svelato per via di una conversazione privata via chat tra Luca Palamara e la pm di Palermo Alessia Sinatra. Lei, confidenzialmente a un vecchio amico come Palamara, di Unicost come lei, etichetta con l’epiteto di “porco” il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo che avrebbe tentato delle avances decisamente focose cinque anni prima. Lei non lo ha denunciato, ma da allora lo considera assai male, e con Palamara si augura che non sarà scelto come  procuratore di Roma. Un evidente sfogo. Siamo nel maggio del 2019. Sono passati due anni. E tutti e due - lei e lui - adesso sono sotto processo disciplinare al Csm. Così ha voluto il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi.

Ho già espresso la mia opinione in proposito. La violenza, per lei, di rivivere in sede disciplinare quello che non aveva voluto trasformare in una denuncia. La parola di lei contro la parola di lui in un contesto, quello disciplinare, che carica il fatto di una valenza ulteriormente punitiva. Un doppio processo inutile. Che però sortisce per Sinatra un danno, la spettacolarizzazione della sua sofferenza di donna.

Ma adesso, neanche a farlo apposta, la questione si complica. E anche in questo caso ai danni di Alessia Sinatra. Perché lei, e con lei il suo difensore - l’ex Csm e giurista Mario Serio - quando il 7 maggio affrontano la prima udienza, non ci pensano neppure a chiedere che sia segreta. Avrebbero potuto farlo. È lei la vittima della presunta violenza. Ma non lo fanno. I cronisti presenti possono descrivere cosa accade. Nei dettagli. E il rinvio al 15 luglio.

Poi arriva Creazzo, il 7 maggio. E chiede che tutta l’udienza sia segretata. I giudici disciplinari acconsentono. E in un Csm sotto schiaffo per via del caso Davigo-Storari nessuno ci pensa un solo attimo a divulgare dopo che cosa sia accaduto dietro quella porta.

Era giusto concedere questa segretazione? Alla luce di un processo parallelo sullo stesso fatto che è stato pubblico, oppure siamo di fronte a un’evidente disparità di trattamento? Creazzo, in udienza, sa cosa sta accadendo nel processo parallelo a Sinatra. Lei, Sinatra, non sa nulla di quello che sta avvenendo nel processo Creazzo.

C’era una sola cosa da fare, negare la segretazione chiesta da Creazzo. Ma evidentemente questo Csm sta perdendo, o forse ha già perso, la bussola...

Chi festeggia e chi muore

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Nella giornata del 25 aprile il mio pensiero va a chi è morto affogato in mare. Mentre si processano coloro che cercano di salvare i naufraghi, non ci sarà un processo contro chi non si è mosso e ha fatto affogare uomini e donne. Nell’indifferenza. Nella paura dei processi. Concentratevi su quella parola: affogare. E pensate bene a come si muore. Uomini. Donne. Bambini. Senza colpe. Salvo quella di volere una vita migliore. Europa, mi vergogno di te. Mi vergogno di noi. Mi vergogno della nostra indifferenza.

Nella giornata del 25 aprile il mio pensiero va a Patrick Zaky chiuso in galera da mesi e mesi. Innocente. E il mio pensiero va al nostro ambasciatore che invece siede comodo in un elegante ambasciata egiziana mentre dovrebbe essere ovunque, ma non certo lì. Perché l’Italia, dopo Regeni e Zaky, dovrebbe cancellare l’Egitto dai paesi con cui essere in relazione. E che vadano all’inferno i contratti. Perché la vita ha valore, e non certo i soldi. Ha sbagliato Conte. Sta sbagliando Draghi.

Il Csm e la violenza su Sinatra

Alessia Sinatra

Alessia Sinatra

Giusto nei giorni in cui si parla con insistenza e con angoscia della violenza sulle donne, il Csm - è la mia opinione di donna - ne sta commettendo una ai danni di una magistrata, la pm  di Palermo Alessia Sinatra. Costretta a rivivere, di fronte ai giudici disciplinari, la pressione sessuale che avrebbe subito dal collega Giuseppe Creazzo, il procuratore di Firenze. Lui nega. Recisamente. Ma lei porta i testimoni dei suoi racconti di cinque anni fa. Quando il fatto sarebbe avvenuto. Tra questi una teste particolare, la sorella, che era proprio lì, in una stanza d’albergo a Roma, mentre il fatto avveniva nel corridoio. E fu quindi la prima a raccogliere lo sgomento di chi racconta subito, a caldo, cos‘era avvennuto in quei minuti.

Ora. Alessia ha ripetuto più e più volte agli amici la sua pena. Non ha fatto una denuncia. Lei, magistrata, pm che si è occupata delle fasce deboli, non se l’è sentita di affrontare questo calvario. S’è sfogata, questo così, con le persone di cui si fidava. Subito. E subito lo ha fatto con Luca Palamara. Da sempre di Unicost come lei. E come Creazzo. Anni dopo il suo sfogo, che non aveva fine perché la vicenda aveva segnato la sua vita, è rimasto impresso in una chat con Palamara. Al quale, da amico, ha chiesto se per caso Creazzo sarebbe davvero riuscito a diventare procuratore di Roma. Cosa che poi, e certo non per suo volere, non è accaduta.

Era una richiesta? Era una sua imposizione? Era un ordine? Niente di tutto questo. Perché Alessia Sinatra non aveva certo il potere di chiedere effettivamente una cosa del genere. Di incidere su quella nomina. Le chat  di Palamara ci dicono che ben altri erano gli uomini di potere che decidevano chi dovesse sedersi su quell’ambita poltrona. Sinatra invece parlava con un amico della “sua” storia. Per l’ennesima volta. Come aveva fatto per cinque anni. Un’ossessione per lei quello che aveva vissuto? Forse. Ma un’ossessione esclusivamente umana.

Merita, questa magistrata, di finire sotto azione disciplinare? Proprio come colui che sarebbe stato il protagonista dell’approccio? Nella stessa aula? Costretta a rivivere lì, per due volte, per il suo processo e per quello di colui che avrebbe tentato di aprirle la camicetta, la storia di cinque anni prima? Quel processo che lei ha rifiutato non facendo la denuncia adesso invece si è materializzato. In una sede del tutto impropria. Dove non si può valutare l’effettiva verità del “fatto”. Lo si deve dare per scontato.

E c’è da chiedersi se questa non sia violenza gratuita. Un Csm nel quale è stato deciso che le autopromozioni - cioè le pietose o arroganti richieste di aiuto di chi vuole essere promosso a tutti i costi e vanta, con chiunque ha potere, quali sono i suoi bonus - non vanno punite, decide invece che va punita colei che, con un amico, ha continuato a esprimere la sua avversione per colui che le avrebbe profondamente mancato di rispetto.

Non basta eleggere sette donne al Consiglio per vantarsi di essere dalla parte delle donne. È nelle scelte di tutti i giorni che ci si dimostra dalla parte delle donne. E questa azione disciplinare non è affatto dalla parte di una donna. È una violenza a una donna. Non chiamatela con un altro nome, ma con il suo nome. Una nuova violenza. Perché riavvolgere pubblicamente il film di quei fatti significa riviverli. A rileggere quelle chat ancora adesso esse mostrano solo il valore che hanno, lo sfogo da amica ad amico. E se l’autopromozione non è colpevole, ancor meno può esserlo l’amicizia.

Niente scuse per Grillo

Non ci sono scuse per il comportamento di Beppe Grillo. Chi, per anni, ha criticato Berlusconi per le sue contumelie contro i giudici, non può seguire le stesse orme. Il fondatore e tuttora garante di un partito, interlocutore del premier Draghi nella fase di formazione del nuovo governo, non può parlare solo come padre. E anche qualora volesse farlo dovrebbe rispettare, in un caso così grave, le altre parti del processo. Il silenzio sarebbe stato la migliore scelta. Qui c’è una giovane donna che da due anni vive nell’incubo di quanto è accaduto. Il partito di Grillo, con l’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede, si è vantato di aver fatto approvare il Codice rosso. Bene. Adesso è ora che anche Grillo padre e Grillo madre ne rispettino le regole. Non basta etichettare, minimizzando, con la parola “coglioni”, i protagonisti di una vicenda gravissima, comunque la si guardi. Sulla quale - va detto - la giustizia se l’è presa decisamente un po’ troppo comoda.