Viareggio, Bonafede, Renzi

Matteo Renzi

Matteo Renzi

Alfonso Bonafede

Alfonso Bonafede

Sappiamo com’è finita in Cassazione per la strage di Viareggio. Sappiamo che il Guardasigilli Bonafede non ha fatto commenti perché da quando è ministro non ha mai commentato le sentenze. Ho cercato di strappargli una parola ma mi ha risposto “niet”. Sappiamo che Renzi non ha fatto commenti su Viareggio. Anche se Viareggio è in Toscana. Ma sappiamo anche che Renzi ha sempre avversato la prescrizione di Bonafede (stop dopo il primo grado). E sappiamo che con la legge Bonafede un caso come quello di Viareggio non sarebbe mai stato possibile. Ovviamente, purtroppo, la legge Bonafede si applica solo ai reati commessi “dopo” la sua entrata in vigore. Peccato.

Covid, crisi, e giustizia

Bonafede e Renzi

Alfonso Bonafede

Matteo Renzi

Matteo Renzi

Salve a tutti. Buon anno. Il Covid ci perseguita. La confusione pure. C’è poco tempo per leggere. Questo blog cercherà di diventare il più lapidario possibile. Nel senso che sarà breve. Invito i volenterosi commentatori a fare altrettanto.

Quello di oggi - eccezionalmente lungo - fa il punto sulla giustizia e sulla (presunta) crisi di governo.

Purtroppo - proprio sulla giustizia - la rottura Renzi-Conte, Renzi-Bonafede, va avanti da un anno. Scoppiò a cavallo del 2019-2020 sulla prescrizione. Perché Bonafede - il “giustizialista” secondo Renzi; un avvocato che sta ai fatti e cita il caso della denegata giustizia come per i parenti delle vittime di Viareggio per via della mannaia della prescrizione, secondo me - la vuole corta e lui, Renzi, berlusconianamente, la vuole lunga. Già, perché questo Renzi è un po’ - un po’ assai in verità - berlusconiano. Tant’è che chiede anche la separazione delle carriere, eterno vessillo dell’ex premier.

Serve oggi una crisi di governo per la giustizia? Potrebbe giovarle? Assolutamente no. Basta guardarsi in giro. Prossimi allo sciopero ci sono i giudici di pace, il che vorrà dire la paralisi della metà della giustizia italiana. Le toghe ordinarie invece vengono da un anno di stress assurdo tra processi da remoto e processi in presenza. Nonostante i decreti Cura Italia e Ristori, obiettivamente, la situazione è difficile. Per loro come per tutti noi. Per gli amministrativi, costretti a uno smart working in un’Italia dove la fibra è un’illusione. E ne so qualcosa io che ne ho una che va - sì e no - a 4-5 mega. E non va meglio con i cellulari, nel caos tra 3, 4, 5G. E anche su questo potrei dilungarmi assai, in questo caso colpevolizzando il gestore. E dunque, sabato prossimo, l’Anm - il sindacato dei giudici, con al vertice uno come Giuseppe Santalucia che, da ex capo del legislativo di via Arenula, conosce i tormenti per arrivare a un decreto legge - sarà di nuovo alle prese con i suoi comunicati per spiegare che i processi da remoto vanno regolamentati una volta per tutti. Non basta un decreto che fissa le regole fino al 31 gennaio. E poi, chissà, bisogna aspettare il prossimo decreto di chissà quale governo.

Ma non basta. C’è il carcere, potenziale polveriera. Come dimostrano le rivolte del febbraio 2020. C’è, adesso, l’appello di Liliana Segre e Mauro Palma per i vaccini per tutti. Anche se - è un dato - dal 13 dicembre a oggi si registra il 43% in meno di detenuti positivi. Erano 1.088, adesso - secondo i dati odierni freschi di ministero - sono 602, di cui 23 registrati come “nuovi giunti”. Su una popolazione di 52.237 persone in cella. E di questi 559 sono asintomatici, 14 sono ricoverati in ospedali esterni, 13 risultano degenti in caserma. Dati positivi anche sul fronte del personale dirigenziale e amministrativo: su 4.090, i positivi sono 56, di cui 55 in degenza presso il domicilio e un solo ricoverato in ospedale. Niente Covid, ad esempio, in carceri come Tolmezzo e Poggioreale.

Vogliamo parlare del Csm? Dopo aver rimosso Luca Palamara dalla magistratura - era il 9 ottobre - il Consiglio riparte il 7 gennaio con il processo disciplinare ai cinque consiglieri togati che per i fatti dell’hotel Champagne hanno dovuto lasciare il Csm. Tuttora orfano di un rappresentante per cui si voterà ad aprile (chissà in che modo...). Con chi rischia la sua carriera c’è pure Cosimo Maria Ferri, nonostante sia una toga prestata alla politica...renziana. E poi c’è la ventina di azioni disciplinari promosse dal procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi. Tutto questo in un palazzo assediato dal Covid, dove non si può più entrare per guardare in faccia un consigliere. Proprio quando invece ce ne sarebbe estremo bisogno. Nel segno della trasparenza che - ringraziando sempre infinitamente Radio Radicale per le sue dirette - non può ridursi solo all’ascolto di un audio.

Ma che spazio c’è per mettere in primo piano tutto questo? Nessuno. Perché la politica è concentrata sulla (presunta) crisi ormai da mesi... Una crisi che, vista dalla strada, fa scappare solo una riflessione: ma in questa drammatica guerra al Covid, perché di guerra si tratta, con oltre 75mila morti, quando ogni minima energia, ogni pensiero, ogni riflessione, ogni fiato dovrebbe essere dedicato solo a questo, per alleviare la sofferenza degli italiani, come si fa a distrarsi per pensare ai futuri organigrammi? Sarà per questo che, quando poi c’è da votare, solo la metà degli italiani esce di casa...

Tra Davigo e l’Anm

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In due giorni, un terremoto ha colpito la magistratura. Davigo se ne va dal Csm. Le toghe italiane, poche in verità (6mila su oltre 9mila), votano per cambiare i rappresentanti dell’Anm. Vediamo, in pillole, cosa può significare tutto questo.

1. Cosa c’è alle spalle? Una delegittimazione sul campo della magistratura. Non sono più gli eroi senza macchia e senza paura di un tempo. Sono comuni mortali. Peccano, e si compromettono anche loro. Il caso Palamara li ha segnati. Forse travolti. Le correnti immerse nei traffici di potere dei posti sono state scoperte. Il Csm è stato pesantemente coinvolto. Palamara è stato espulso dall’Anm, e poi radiato dalla magistratura. Processi troppo rapidi, forse.

2. Davigo compie 70 anni, e si pone il problema. Dentro o fuori? Due figure si contrappongono. Palamara, il ras di una corrente. Davigo, capo di una corrente contro il correntismo. Ma proprio il suo ingresso nell’istituzione Csm, il regno dove le correnti si dividono i posti, ne appanna l’immagine. Nel 2016 avevano votato per lui 1.041 colleghi. Adesso la sua corrente, Autonomia e indipendenza, raggranella 749 voti.

3. Davigo doveva davvero essere cacciato dal Csm? Vedremo il destino del suo ricorso. Un fatto è certo. Da oggi in poi Davigo sarà libero. Potrà ritornare quello di prima. Libero di parlare, di criticare, di denunciare la corruzione. Senza la preoccupazione di mettere in crisi l’istituzione Csm. Senza più il timore di un’azione disciplinare, visto che è in pensione. Libero di svolgere la parte del grande vecchio che altre toghe famose hanno svolto e svolgono. Forte di 40 anni di carriera all’insegna della lotta dura al malaffare. Libero di influire sulla sua corrente senza le inevitabili limitazioni - se non altro di espressione - che un consigliere del Csm può avere. Chi, del resto, non si è accorto di come il suo atteggiamento, il suo linguaggio, le sue battute caustiche si sono attenuate nelle performance televisive da quando era entrato a palazzo dei Marescialli?

4. Le elezioni dell’Anm. C’è un dato che domina su tutti. I numeri. Al 29 febbraio di quest’anno le toghe italiane erano 9.787. Se ne sono iscritte per votare all’Anm 7.101. Hanno votato effettivamente 6.101. Nel 2016 avevano votato 8.613 magistrati. Quindi 2.500 si sono persi per strada. Un quarto della categoria. È un dato rilevantissimo.

5. I risultati. Vince la sinistra di Area con 1.785 voti. Luca Poniz, il presidente uscente dell’Anm e pm a Milano, è il più votato (739 voti). Lo segue nella sua lista Silvia Albano, giudice civile a Roma, con 381 voti. È anche quella che ha lasciato l’Anm il 21 giugno dicendo ad Andrea Fabozzi del Manifesto: "Tutti i gruppi, anche se a diversi livelli, sono stati coinvolti nel sistema. E non ci sono risposte all'altezza del problema". Voleva votare subito per rilegittimare l’Anm anziché rinviare a ottobre. Una posizione che, evidentemente, ha pagato. Adesso il segretario di Area Eugenio Albamonte chiede “una giunta unitaria”. Può essere la mossa giusta? Ci starà Magistratura indipendente? La cui segretaria, Paola D’Ovidio, a Repubblica smentisce l’ipotesi di una Anm alternativa, tutta a destra.

6. Magistratura indipendente con 1.648 segue Area. Terza Unicost con 1.212. I davighiani con 749. ArticoloCentouno con 651. Certo, Unicost, che nel 2016 era la più suffragata, adesso scivola al terzo posto e prende 7 consiglieri, a fronte degli 11 di Area e dei 10 di Mi. Quattro ciascuno le altre due liste, davighiani e Centouno. Sicuramente uno smacco per Davigo, anche se Aldo Morgigni prende 363 voti. Ma Unicost ha perso per l’effetto Palamara? Oppure per la spaccatura interna che ha visto la progressiva fuoruscita di suoi aderenti verso Mi? Al punto che all’interno di Mi, nella lista dei candidati, figuravano quelli del Movimento per la Costituzione. Nonché ex di Unicost. Tra gli uni e gli altri ne sono stati eletti ben quattro su dieci. Certo non ha danneggiato Mi il fatto che ben tre dei suoi consiglieri fossero all’hotel Champagne la sera dell’8 maggio 2019 e che si siano dovuti dimettere. Né che ci fosse Cosimo Maria Ferri, il deputato renziano da sempre considerato l’uomo più potente di Mi. Certo colui che trattava per Mi, come dimostra la sua presenza quella sera in quell’albergo dove si tesseva la tela per eleggere il procuratore di Roma.

7. La sconfitta di Davigo e la vittoria di Andrea Reale. Senza il richiamo in lista di Davigo l’insuccesso di Autonomia e indipendenza, come ammette la stessa presidente Anna Giorgetti, non meraviglia. Mentre la novità, peraltro annunciata, è quella di Reale, giudice a Ragusa e toga di rottura che ha continuato a chiedere il sistema del sorteggio per eleggere il Csm. Si era già candidato nel 2012, ma ce la fece solo lui. In questi mesi ha martellato i colleghi inondandoli di mail. Si dichiara “soddisfatto” del risultato. Una giunta unitaria? Tutti insieme per guidare l’Anm? Pare davvero improbabile.

Davigo, la pensione e l’Anm

Dal sito dell’Anm

Dal sito dell’Anm

“Né carne, né pesce”. Questo dicono i nemici di Davigo - a cominciare da quelli di Magistratura democratica, la corrente rossa delle toghe - a proposito del suo prossimo pensionamento da magistrato (martedì 20 ottobre). Sostengono che egli non sarebbe più magistrato, quindi non classificabile né tra i componenti togati del Csm, né tantomeno tra quelli laici. Lunedì 19, o al massimo martedì 20, il Csm voterà sulla questione.

Ma siamo proprio sicuro che Davigo in futuro non sarà più “né carne né pesce”?

Perché, sul sito dell’Anm, l’Associazione nazionale dei magistrati, si può leggere - in un apposito riquadro che ripropongo nella foto - che “i magistrati in pensione possono iscriversi alla sezione autonoma dei magistrati a riposo”. È prevista anche una modalità ad hoc per pagare la quota, con un bollettino di conto corrente, n. 96960547, intestato ad Associazione Nazionale Magistrati Sez. autonoma Magistrati a riposo - Piazza Cavour - Roma; oppure con un bonifico bancario, includendo anche la causale “iscrizione magistrati a riposo”. Esiste anche una mail, sezionemagistrati.pensione@...

E dunque: perché Davigo può restare nell’Anm pagando la sua quota, ma non può restare al Csm per rappresentare i suoi colleghi? Un fatto è certo: se è sempre magistrato per l’Anm, dev’esserlo anche per il Csm. A meno che non sia solo una questione di quote...

Davigo, le correnti stiano al loro posto

Palazzo dei Marescialli

Palazzo dei Marescialli

Ma non avevamo detto che le correnti della magistratura dovevano stare al loro posto, e soprattutto “fuori” dalla vita del Csm?

E perché allora, da giorni, c’è un pullulare di correntismo sul destino di Piercamillo Davigo? Comunicati, messaggi, whatsapp: con un unico risultato, cercare di influire su una decisione che spetta solo ed unicamente ai componenti dell’attuale Csm. Dunque fuori le correnti, i loro interessi chiaramente pre elettorali, visto che da domenica 18, e per tre giorni, si vota per rinnovare il parlamentino dell’Anm.

Se potete, signore correnti, state a guardare che succede nella sala Bachelet. State al vostro posto. Il caso Palamara non vi è bastato? Continuate ancora? Rispettate il Csm e attendete tranquilli la decisione dei vostri colleghi. E anche se non dovesse piacervi accettatela di buon grado lo stesso perché l’avrà decisa un organo libero, in cui i componenti laici hanno la loro voce. A meno che davvero non dica il vero Palamara quando racconta di segretari delle correnti che, dentro al Csm, decidevano chi dovesse ottenere una promozione...

Davigo, una scelta “politica”

Piercamillo Davigo

Piercamillo Davigo

Non ci giriamo intorno.

Non è tecnica, ma del tutto politica la decisione sul caso Davigo. Parliamo del fatto che il 20 ottobre il noto Piercamillo Davigo, toga che molti odiano (perché è troppo bravo con le battute) e molti amano (per la stessa ragione), compie 70 anni e quindi andrà in pensione come magistrato. Come giudice della Cassazione è stato eletto al Csm. Votato da 2.522 colleghi. Non esiste, in questo momento, alcun riferimento certo nelle leggi che imponga la sua decadenza. Solo deduzioni. I giuristi, come sempre, si dividono. Ma mercoledì 14 ottobre, quando i colleghi del Consiglio superiore dovranno votare su di lui, avranno di fronte un’altra scelta, tutta politica, e non strettamente tecnica.

Una scelta che riguarda la vita di questo Csm, la sua sopravvivenza fino al 2022, la sua composizione, e quindi la sua stabilità. Sei consiglieri togati - si badi, 6 su 16 - si sono già dimessi per il caso Palamara. A causa di un’elezione sciagurata nel 2018, con quattro gatti in lista (e poi si parla delle correnti...), non c’era un numero sufficiente di toghe per sostituirli. Si è votato, e c’è il rischio di dover votare ancora dopo l’ultimo caso di dimissioni, quelle di Marco Mancinetti di Unicost.

Ora: è mai possibile anche solo ipotizzare che, non per interpretazioni giuridiche univoche (tant’è che nella confusione e nell’incertezza il Csm si è pure rivolto all’Avvocatura dello Stato, non bastando, o non fidandosi abbastanza dell’ufficio studi interno), ma per logiche di schieramento (dopo tre giorni si vota per la nuova Anm) si possa cacciare Davigo? Solo chi vuole terremotare definitivamente questo Csm, e con lui tutta la magistratura e la sua massima rappresentanza, può optare per una simile soluzione. Oppure chi vuole modificarne ancora gli equilibri interni, perché a Davigo, leader di Autonomia e indipendenza, corrente che avrei difficoltà ad etichettare politicamente, dovrebbe subentrare il collega della Cassazione Carmelo Celentano di Unicost. Che andrebbe così a compensare le dimissioni di Mancinetti, di Unicost anche lui, addirittura il più votato.

Ma non basta. Perché quando si fa una scelta, conta anche il momento storico e politico in cui la si fa. Davigo lascerebbe il Csm a quattro giorni dalla “rimozione dalla magistratura” di Luca Palamara. Di cui peraltro Davigo stesso è stato giudice. Ipotizziamo le interpretazioni mediatiche di questa mossa: se ne va dal Csm il colpevole e subito dopo anche il suo giudice? Quindi la magistratura si sta rendendo protagonista di un altro squilibrato pasticcio? Tutte le toghe sono da buttare dalla finestra? E il Csm che resta ha adesso, e potrà avere in futuro e per ben due anni, la legittimazione e la credibilità sufficiente per andare avanti? Oppure è arrivato il momento - anche se una nuova legge per eleggerne un altro non c’è ancora - di andare a nuove elezioni? Una logica del “tutti a casa” che Sergio Mattarella, capo dello Stato e presidente del Csm, ha già bocciato un anno fa.

Alexandertwo

Un blog è come una famiglia. Tutti, dopo un po’, si conoscono. Litigano e si scornano proprio come avviene in tutte le famiglie. Ma si amano, anche. Di quell’amore che trae linfa dal gusto della polemica, tante volte anche della rissa. In un botta-risposta che può andare avanti all’infinito.

Perché ripeto qui cose scontate? Perché c’è sofferenza, più o meno grande, quando una famiglia perde un suo componente. Nel blog Toghe questo è avvenuto. Il 31 luglio. Quando è giunto l’ultimo intervento di un partecipante assiduo, Alexandertwo - questo il suo nickname - protagonista di durissime battaglie con altri partecipanti. Più volte ai limiti perfino della minaccia di querele. Poi, dopo il 31 luglio, più nulla.

Il mio ultimo commento è del 27 luglio, poi ho taciuto anch’io. Complice agosto, certo. Il caldo. E l’incubo del Covid. La stanchezza. E la voglia di leggere, ma non di scrivere. Ma anche il venir meno di quella presenza divenuta ormai, in dieci anni, familiare, stimolante, divertente, utilissima nella sua capacità di vedere continue novità nel caleidoscopio della giustizia.

Ho atteso ogni giorno - sì, non vi sembri banale il confessarlo - che Alexandertwo tornasse. Ma nulla. Non resta che salutarlo con affetto. Augurargli altri lidi. E altre polemiche dopo le tante sostenute su Toghe.

Che prosegue la sua strada. Tra Bonafede, Davigo, Palamara, l’Anm, gli scontri su Salvini, le liti su immigrazione e sicurezza, e il Covid. Sì, questa malattia infida che ti fa temere la stretta di mano di un tuo amico. Niente baci, niente carezze. Solo mascherine. E allora andiamo avanti così.

La giustizia secondo Casellati

Elisabetta Casellati

Elisabetta Casellati

Rivoluzione della giustizia a colpi di ...ventaglio. La presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, sceglie la cerimonia del ventaglio a palazzo Madama per lanciare la sua “rivoluzione” sulla giustizia.

Riassumibile in tre mosse. Queste: “Sorteggio dei membri togati del Csm, non obbligatorietà dell'azione penale, separazione delle carriere”.

Serve altro per spezzare le reni alla magistratura? Certamente no. Basterebbe questo. Per fortuna esiste ancora la Costituzione che impedisce, sic ed simpliciter, di fare tutte e tre le cose.

La vita di Toghe

Il blog Toghe è in vita dal gennaio 2011. Nove anni pieni non sono pochi. Ci sono stati momenti di grande esaltazione sulla giustizia. Penso alla battaglia sulle intercettazioni. La lotta al “bavaglio”. Momenti di importante confronto politico. Su Berlusconi, e non solo. Su Salvini, e non solo. Su tante nomine del Csm. La dialettica degli interventi, nel blog, è stata civile. Anche se le voci che intervengono con maggiore frequenza sono di opposta tendenza. Ed è un bene che sia così, perché Toghe ha portato i pareri di destra e di sinistra, istituzionali e non, le voci dei lettori di Repubblica.
Quando siamo partiti non ho imposto un decalogo del comportamento da seguire. E sono sempre stata di “manica larga” nel passare i post. Un po’ di dialettica e qualche scaramuccia sono il sale di un confronto. Ma adesso, alla luce dei fatti, delle regole vanno imposte. Per questo ne scrivo qui una, la principale: la sistematica offesa, la denigrazione, la totale mancanza di rispetto tra chi, anche più volte al giorno, posta i suoi interventi, è del tutto inaccettabile. Soprattutto perché costringe me a fare la maestrina con la penna rossa. Ruolo che non voglio avere perché lo ritengo del tutto inutile. Ognuno ha diritto in questo blog a poter scrivere - in forma rispettosa - la sua opinione. Ma non ha diritto di offendere gli altri. Non dico me, perché so difendermi assai bene. Dico gli altri che scrivono.
Ci sono lettori di questo blog a cui io sono affezionata. Non faccio nomi. Dico solo che non intendo perderli. Quindi delle due l’una: o si rispettano le regole, oppure d’ora in avanti, la regola sarà solo una, buttare integralmente nel cestino gli interventi irrispettosi, volgari, inaccettabili. Meglio un Toghe senza interventi, che un Toghe da mercato del pesce. Con tutto il rispetto per i pesci, ovviamente.

Sospetto, anticamera della verità

Raffaele Cantone

Raffaele Cantone

Il teorema è antico, e credevamo anche fosse ormai in soffitta. Ma non è così. Perché la falsa teoria, oggi la si definirebbe una fake news, del “sospetto come anticamera della verità”, torna, addirittura al Csm, nel dibattito sulla nomina di Cantone. Per dirla semplice: siccome Cantone, nel 2014, è stato scelto da Renzi come capo dell’Anac, allora Cantone, oggi, non può diventare il procuratore di Perugia perché, trovandosi di fronte renziani di origine e di appartenenza come Lotti e Ferri, chiuderebbe un occhio su di loro. Cos’è questo? Un sospetto. Cosa diventa? L’anticamera della verità. Mi porto addosso la fama di giustizialista, ma un’argomentazione del genere, francamente, la trovo del tutto inaccettabile. Soprattutto facilmente contestabile. Perché, semmai, soprattutto conoscendo Cantone, ci sarebbe da temere il contrario, cioè un surplus di severità da parte di Cantone in casi di questo genere. Ma soprattutto: davvero il futuro del Csm e dei criteri nelle nomine può fondarsi su basi così fragili? Usiamo, allora, altri argomenti del tutto oggettivi e lasciamo perdere i teoremi di una stagione superata.