stefano brugnolo
Insegno Teoria della letteratura a Pisa. I miei interessi riguardano Freud, Orlando, Proust, Starobinski, Bachtin, i rapporti tra storia e letteratura, l'umorismo, l'ironia, il comico, il Canone, gli studi post-coloniali, la letteratura latino-americana, la poesia oscura, e altro ancora
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Address: Via San Marco 192, 35129 Padova
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Nell’invitarvi al Convegno provo a dirvi quale fosse il pensiero principale di Francesco Orlando da cui poi è sgorgata tutta la sua teoria: è il pensiero dell’ambivalenza.
Un altro modo che Francesco aveva per dire questo era che il testo letterario è una “formazione di compromesso” tra significati opposti che convivono senza giungere mai a una sintesi, che restano inconciliati.
Uno potrebbe anche dire che è un pensiero facile da afferrare. Magari in astratto può anche parere così, ma nel concreto no, è forse la cosa più difficile di tutte.
Certo, quando leggiamo una poesia o un romanzo in qualche modo siamo immersi nell’ambivalenza, nella pluralità dei punti vista, ma poi se a lettura compiuta ne parliamo e discutiamo fin troppo spesso siamo portati a dire che quella certa opera afferma o nega, celebra o maledice, significa bianco o significa nero.
Ragioniamo insomma nei termini di un aut aut e ci costa fatica riconoscere che il testo eminente può disapprovare e nello stesso tempo approvare una certa azione, può farti amare e nello stesso tempo odiare un certo personaggio.
Se c’è una cosa che Francesco Orlando ci ha aiutato come pochi altri a fare è proprio ad articolare l’ambivalenza e cioè la contraddizione, che è sì la materia prima di cui sono fatte le grandi opere, ma è anche ciò di cui siamo fatti tutti noi. Perché ogni individuo è una originale formazione di compromesso, una contraddizione vivente e impossibile da chiudere. Siamo tutti cioè, ci piaccia o no, delle disperanti e mirabolanti coincidenze di opposti. E se per Orlando lo studio della letteratura “serve” a qualcosa, serve come esercizio per misurarsi con questa nostra natura paradossale. Per conoscerla un po’ meglio.
Mi pare che quest’arte stia diventando sempre più difficile da praticare. Mi sembra che tendiamo sempre di più a rigettare le ambivalenze e a sopportare le incompatibilità di cui è fatta la nostra vita. Molto spesso per esempio davanti alla nostra eredità culturale oscilliamo tra una attitudine di sacralizzazione idolatrica e una di rigetto, di ripulsa.
In fondo è come se non sopportassimo l’alterità dei classici del pensiero e dell’arte a cui troppo spesso chiediamo di rispecchiare e confermare quel che siamo “oggi”, come se il loro valore consistesse nella loro presunta attualità invece che nella loro inattualità che alla fine li rende “eterni”.
L’ideale sarebbe invece confrontarsi con la natura bifronte di quei classici. Pensiamoci: quanta inutile violenza nell’Iliade, quanta terribile esaltazione della forza, ma insieme quanta pietas per gli sconfitti, quanta consapevolezza della vanità di tutto quel furore.
E questo solo per fare il caso del poema che è alla base di tutta la nostra tradizione. Ripeto: dirlo può sembrare quasi solo retorica, ma in realtà afferrare e rendere conto di tali compresenze resta difficilissimo. Perciò io credo che abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti in queste operazioni mentali; che ci aiuti nel compito infinito di sopportare questa nostra natura profondamente aporetica, “storta”, e proprio perciò così viva. Una natura che nei testi letterari si rispecchia al suo meglio e dunque anche al suo peggio.
Francesco Orlando a undici anni dalla sua morte può essere, insieme certo ad altri, un compagno di strada prezioso nello svolgimento di questo compito.
Il convegno che gli è dedicato e a cui invito tutti voi può essere una bella occasione sia per approfondire la sua conoscenza che per cominciarla.
First chapter: Una visione escrementale del mondo moderno
Second chapter: Il consumatore stanco e la Salomé danzante
Third chapter: L'artificio al posto della natura
Fourth chapter: Il diavolo l'oro e il povero Cristo
Nell’invitarvi al Convegno provo a dirvi quale fosse il pensiero principale di Francesco Orlando da cui poi è sgorgata tutta la sua teoria: è il pensiero dell’ambivalenza.
Un altro modo che Francesco aveva per dire questo era che il testo letterario è una “formazione di compromesso” tra significati opposti che convivono senza giungere mai a una sintesi, che restano inconciliati.
Uno potrebbe anche dire che è un pensiero facile da afferrare. Magari in astratto può anche parere così, ma nel concreto no, è forse la cosa più difficile di tutte.
Certo, quando leggiamo una poesia o un romanzo in qualche modo siamo immersi nell’ambivalenza, nella pluralità dei punti vista, ma poi se a lettura compiuta ne parliamo e discutiamo fin troppo spesso siamo portati a dire che quella certa opera afferma o nega, celebra o maledice, significa bianco o significa nero.
Ragioniamo insomma nei termini di un aut aut e ci costa fatica riconoscere che il testo eminente può disapprovare e nello stesso tempo approvare una certa azione, può farti amare e nello stesso tempo odiare un certo personaggio.
Se c’è una cosa che Francesco Orlando ci ha aiutato come pochi altri a fare è proprio ad articolare l’ambivalenza e cioè la contraddizione, che è sì la materia prima di cui sono fatte le grandi opere, ma è anche ciò di cui siamo fatti tutti noi. Perché ogni individuo è una originale formazione di compromesso, una contraddizione vivente e impossibile da chiudere. Siamo tutti cioè, ci piaccia o no, delle disperanti e mirabolanti coincidenze di opposti. E se per Orlando lo studio della letteratura “serve” a qualcosa, serve come esercizio per misurarsi con questa nostra natura paradossale. Per conoscerla un po’ meglio.
Mi pare che quest’arte stia diventando sempre più difficile da praticare. Mi sembra che tendiamo sempre di più a rigettare le ambivalenze e a sopportare le incompatibilità di cui è fatta la nostra vita. Molto spesso per esempio davanti alla nostra eredità culturale oscilliamo tra una attitudine di sacralizzazione idolatrica e una di rigetto, di ripulsa.
In fondo è come se non sopportassimo l’alterità dei classici del pensiero e dell’arte a cui troppo spesso chiediamo di rispecchiare e confermare quel che siamo “oggi”, come se il loro valore consistesse nella loro presunta attualità invece che nella loro inattualità che alla fine li rende “eterni”.
L’ideale sarebbe invece confrontarsi con la natura bifronte di quei classici. Pensiamoci: quanta inutile violenza nell’Iliade, quanta terribile esaltazione della forza, ma insieme quanta pietas per gli sconfitti, quanta consapevolezza della vanità di tutto quel furore.
E questo solo per fare il caso del poema che è alla base di tutta la nostra tradizione. Ripeto: dirlo può sembrare quasi solo retorica, ma in realtà afferrare e rendere conto di tali compresenze resta difficilissimo. Perciò io credo che abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti in queste operazioni mentali; che ci aiuti nel compito infinito di sopportare questa nostra natura profondamente aporetica, “storta”, e proprio perciò così viva. Una natura che nei testi letterari si rispecchia al suo meglio e dunque anche al suo peggio.
Francesco Orlando a undici anni dalla sua morte può essere, insieme certo ad altri, un compagno di strada prezioso nello svolgimento di questo compito.
Il convegno che gli è dedicato e a cui invito tutti voi può essere una bella occasione sia per approfondire la sua conoscenza che per cominciarla.
First chapter: Una visione escrementale del mondo moderno
Second chapter: Il consumatore stanco e la Salomé danzante
Third chapter: L'artificio al posto della natura
Fourth chapter: Il diavolo l'oro e il povero Cristo