Svoboda | Graniru | BBC Russia | Golosameriki | Facebook

Roma

"Fermi, quel filantropo era mio padre"
Tor Vergata, a rischio la maxidonazione

Un'americana rivendica l´eredità di Sebastiamo Raeli, il medico romano proprietario di una catena di hotel diventato il più importante benefattore dell'ateneo.  La mamma di Nina, la donna che chiede una parte del patrimonio, scriveva: "Se raccontassi questa storia sembrerebbe un romanzo"

2 minuti di lettura

NEW YORK - Suo padre tornò quattro volte da Brooklyn, New York, a Montemurro, Potenza, per prendere ogni volta una nuova moglie. Ma adesso lei, la sua unica figlia, vuole cancellare il suo nome, Giuseppe Viola, dalla sua vita: a cominciare dal suo certificato di nascita. Quell'uomo che ho amato non era mio padre, dice oggi Nina Viola Montepagani, insegnante in pensione, nata un giorno del 1952 nell'ospedale di Brooklyn ma concepita - sostiene lei - nove mesi prima dall'altra parte dell'Oceano, da un altro uomo che negli ultimi anni di vita ha rifiutato la sua richiesta di riconoscerla. Un medico, Sebastiano Raeli, che aveva costruito una fortuna grazie a una catena di alberghetti cresciuta intorno alla Stazione Termini - il più noto è l'Hotel Archimede, pieno sempre di americani. E finendo per regalare, lui ufficialmente senza figli, cento milioni di eredità all'Università Tor Vergata di Roma: la più grande donazione mai fatta a un'istituzione scolastica in Italia.
"Se volessi raccontare a qualcuno questa storia sarebbe impossibile: sembrerebbe uscire da un romanzo". Così scriveva la mamma di Nina all'amato dottore in una di quelle lettere che oggi la signora sbandiera come prova. Ma non è solo una storia che sembra un romanzo. La vicenda - dice il New York Times - "potrebbe ridisegnare una delle regole più rigide della legge americana: la presunzione che i bambini nati da donne sposate sono figli dei loro mariti". Non solo. Un'altra legge consente ai figli legittimi, da noi in Italia, di avere accesso comunque alla metà dell'eredità dei genitori. Così l'ex insegnante e oggi madre di due figli potrebbe intascare la sua parte: 50 milioni.
Ogni famiglia nasconde i suoi segreti. Figuratevi quando le vite si incrociano tra due continenti. Giuseppe che cala al paese vestito di tutto punto deve sembrare una specie di zio d'America a quella bella ragazza di quarant'anni più giovane. Ripartendo per gli Usa la lascia a Roma per aspettare i documenti. Ed è qui che nella vita di lei si affaccia quel dottore siciliano di tre anni più grande. Giurano che piangeva accompagnandola poche settimane dopo all'imbarco per l'America. "Quanta pena porto nel mio cuore, quanta umiliazione" gli scriverà lei.
Il dottore però non resta un fantasma nella sua vita. Al battesimo della bimba, che guarda caso si chiama Sebastiana, da cui Nina, proprio come lui, capita a Brooklyn: ecco la foto. Giuseppe è un bravo cristo, ascensorista al Rockefeller Center, la cui dignità, ricorda chi l'ha conosciuto, è raccontata dall'ostinazione con cui, lui analfabeta, continuava a farsi vedere sempre a leggere il giornale, anche se spesso all'incontrario. Nina cresce in quella vita di non detto. Anna, che chiama il marito "il Vecchio", le dice di non rivolgersi a lui come papà. Quando la donna muore, a soli 32 anni, tumore cervicale, il Vecchio infila nel suo portafoglio un biglietto con un nome, Sebastiano Raeli, e un indirizzo di Roma, "in caso di necessità". Nina l'adolescente vuole sapere la verità e gliela chiede a bruciapelo: il pover'uomo scoppia a piangere. Ma quando Nina lotta per il riconoscimento il dottore rifiuta il test del Dna. La lotta diventa giudiziaria. Ma come si fa a riconoscere una paternità quando il nome di suo padre è scritto nero su bianco sul certificato? Così Nina cambia strategia: e chiede, primo caso in America, la cancellazione di quel nome.
Pietro Masi, prorettore di Tor Vergata, l'università dell'eredità, cade dalle nuvole: "La signora Nina non ci ha mai scritto né telefonato e al New York Times ho spiegato che di questa vicenda non sapevo nulla". I soldi del dottore finanziano ogni anno 300 borse di studio da 5 mila euro. La vedova del dottore, Rita, non parla: ma fa sapere attraverso l'ateneo che "non sapeva nulla di questa donna e della sedicente figlia".
Restano quelle lettere, quell'indirizzo, quelle foto. E quella frase di mamma Anna che adesso Nina vorrebbe cancellare come il nome del papà: "Nessuno crederebbe alla mia storia. Sembrerebbe uscita da un romanzo".