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Napoli

Il 25 Aprile è un ponte lanciato verso il futuro

Il 25 Aprile è un ponte lanciato verso il futuro
(siano)
Il commento
3 minuti di lettura

Davvero un anniversario della Liberazione (1945) che fa riflettere e induce pensieri amari tra risentiti e preoccupati. Ma che soprattutto richiama con forza il titolo del denso e importante libro di Francesco Filippi "Ma perché siamo ancora fascisti? Un conto rimasto aperto", in cui l'autore compendia la sua analisi sui mancati conti fatti dagli italiani con il proprio passato, nei cui confronti sarebbero alla fine prevalsi invece atteggiamenti auto-assolutori e relativizzanti.

Ma per noi meridionali, e napoletani, non basta ancora, perché a complicare il quadro vi è la sfasatura di tempi, e la diversità del corso storico-politico, che integrano anche in questo campo l'anomalia napoletana della conquista in proprio della libertà, attraverso le Quattro Giornate, a cui è seguito ancora un biennio prima di riunirsi al resto del Paese all'atto della sospirata Liberazione, finalmente collettiva e unitaria: il nostro cammino dalla Libertà alla Liberazione.

E al riguardo non è certo un caso che dal Cln napoletano, allo scoccare dell'ora fatale appena accennata, siano partiti per i fratelli del Nord Italia e i Comitati di Liberazione settentrionali, messaggi di auguri e compiacimento, ma soprattutto l'accorata raccomandazione - appello perché il nuovo corso che andava aprendosi non continuasse e ripetesse il cattivo rapporto tra le due parti d'Italia.


Ovviamente, questo non inficia, né tanto meno lede, la fondamentale portata della Liberazione nazionale, con cui si conclude e si compie la guerra partigiana e l'intero processo della Resistenza che meglio, peraltro, sarebbe indicare al plurale, come le Resistenze, se è vero - come è vero- che il movimento ha avuto origine proprio tra noi, Sud e Napoli, e che l'insurrezione popolare napoletana ha indicato all'Italia tutta il modello da seguire.

Insomma, eventi complessi e su cui ancora permangono giudizi e memorie non condivisi, ma su cui vale sempre la pena di ricordare e valutare la straordinaria eredità che ne è scaturita: dalla mobilitazione di popolo all'antifascismo diffuso e diversificato, dal primo voto riconosciuto alle donne alla eliminazione della monarchia, dall'avvento della libertà e della democrazia repubblicane alla nascita e varo della Costituzione. Vi sembra poco, e qualcuno può disconoscere che nel cuore del "secolo breve" ha avuto luogo la più profonda e significativa trasformazione di noi stessi, come popolo, paese, nazione e patria? Certo, non si è trattato di un processo semplice, unilineare, ma è imprescindibile conservare ferma nella mente e nel cuore la funzione di "laboratorio" che vi hanno avuto Napoli, la Campania, il Mezzogiorno.

Ed anzi, proprio il modo, la frequenza e l'intensità che hanno caratterizzato la nascita, e l'evoluzione, della festa del 25 Aprile, ma soprattutto l'atteggiamento popolare verso di essa e la sua celebrazione, ne rappresentano importanti e significativi riscontri. L'incertezza e la difformità dei comportamenti iniziali, negli anni difficili immediatamente successivi alla fine della guerra; a metà degli anni Cinquanta la "scoperta", non priva di ambiguità, per cui si riveste la Resistenza e la stessa Liberazione della definizione lessicale e concettuale di un "secondo Risorgimento", con lo strascico, anche qui, di interpretazioni, ideologiche e pratiche, decisamente controverse e opposte. A seguire, le stagioni dei '60 e '70, nel corso delle quali si assiste ad uno scontro che si fa duro, tra chi prova a far valere istinti di pacificazione/parificazione tra gli opposti schieramenti, e quanti di contro si dolgono e si ribellano a quel che ritengono la Resistenza tradita, e in pratica, lamentano un mancato seguito rivoluzionario alle premesse poste dalle lotte partigiane.


E si arriva gli anni '80 e '90, in cui diversità e differenze non si attenuano, mentre più consistente e diffusa si fa largo la strada della composizione tra le parti, che si vorrebbe a volte quasi neutrale e tale da mettersi dietro le spalle ciò che è stato un tempo, ma che non può né deve tornare ad imporsi.
Pensieri non sempre fautori di progresso civile e talvolta piuttosto pericolosi e antipolitici; tali, comunque, da avere inciso sul rito e sui simboli del 25 Aprile, che oggi a qualche studioso, non certo sprovveduto sul versante ideologico, è addirittura parso definire e interpretare come una "festa degli addii". Non condivido questa piega assunta dal discorso; sono convinto, con Massimo Recalcati, che esiste la memoria-archivio, praticamente inerte; la memoria fantasma, inquietante e generatrice di incubi; infine, però, la memoria come fattore produttivo di futuro. Ecco, il 25 aprile del 1945, che io intendo e pretendo di ricordare e celebrare, è quello che ha rappresentato il ponte lanciato verso il futuro, di un'Italia nuova e diversa, in cui Mezzogiorno e Napoli non dovessero preoccuparsi di rincorrere il modello-Nord, bensì provassero a costituirsi parte integrante e modellante dell'intera realtà nazionale. Se non ci siamo riusciti, occorre riprovarci, non arretrare nell'indifferenza e nel fatalismo, ma al contrario tornare a resistere e a combattere, arrestare la deriva o il ritorno del peggio immaginabile, per far trionfare invece il cambiamento, la trasformazione dell'esistente, magari richiamandosi al titolo dell'ultimo film di Moretti.
L'autore è presidente dell'Istituto campano per la Storia della Resistenza