ANNO 159°
NUOVA ANTOLOGIA
Rivista di lettere, scienze ed arti
Serie trimestrale fondata da
GIOVANNI SPADOLINI
Aprile-Giugno 2024
Vol. 632 - Fasc. 2310
La rivista è edita dalla «Fondazione Spadolini Nuova Antologia» – costituita con decreto
del Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, il 23 luglio 1980, erede universale di Giovanni Spadolini, fondatore e presidente a vita – al fine di «garantire attraverso la continuità
della testata, senza fine di lucro, la pubblicazione della rivista Nuova Antologia, che nel suo
arco di vita più che secolare riassume la nascita, l’evoluzione, le conquiste, il travaglio, le
sconfitte e le riprese della nazione italiana, nel suo inscindibile nesso coi liberi ordinamenti»
(ex art. 2 dello Statuto della Fondazione).
Comitato dei Garanti:
GIULIANO AMATO, PIERLUIGI CIOCCA, GIUSEPPE DE RITA, CLAUDIO MAGRIS
Direttore responsabile: COSIMO CECCUTI
Comitato di redazione:
AGLAIA PAOLETTI LANGÉ (caporedattrice),
MARIA ROMITO, GABRIELE PAOLINI, CATERINA CECCUTI, TERESA PAOLICELLI,
ERIKA BRESCI, ALESSANDRO MONGATTI, GIOVANNI ZANFARINO
Responsabile della redazione romana:
GIORGIO GIOVANNETTI
Registrazione Tribunale di Firenze n. 3117 del 24/3/1983
FONDAZIONE SPADOLINI NUOVA ANTOLOGIA
Via Pian de’ Giullari 139 − 50125 Firenze
[email protected] − www.nuovaantologia.it
Prezzo del presente fascicolo € 16,50 − Estero € 21,00
(Arretrato € 20,00 − Estero € 25,00)
Abbonamento 2024: Italia € 59,00 − Estero € 74,00
I versamenti possono essere effettuati
su conto corrente postale n. 1049326208
intestato a: Leonardo libri srl − causale: Abbonamento a Nuova Antologia 2024
(con indirizzo completo di chi riceverà i 4 fascicoli)
su conto corrente bancario IBAN: IT09 S030 6902 9141 0000 0006 857
intestato a: Leonardo Libri srl − causale: Abbonamento a Nuova Antologia 2024
(con indirizzo completo di chi riceverà i 4 fascicoli)
Garanzia di riservatezza per gli abbonati
Nel rispetto di quanto stabilito dalla Legge 675/96 “norme di tutela della privacy”, l’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati che potranno richiedere gratuitamente
la rettifica o la cancellazione scrivendo al responsabile dati di Leonardo Libri srl. Le informazioni
inserite nella banca dati elettronica Leonardo Libri srl verranno utilizzate per inviare agli abbonati
aggiornamenti sulle iniziative della Fondazione Spadolini Nuova Antologia.
EDIZIONI POLISTAMPA
Via Livorno, 8/32 – 50142 Firenze − Tel. 055 73787
[email protected] − www.leonardolibri.com
ISBN 978-88-596-2429-5
SOMMARIO
Ai Lettori, di Cosimo Ceccuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Giovanni Spadolini, Firenze, l’Università del Risorgimento, a cura di
Gabriele Paolini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Valerio Di Porto, Antonio Piana, Giovanni Gronchi: il desiderio di essere
protagonista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5
8
15
Nell’Italia liberata: Ministro e Presidente della Camera, p. 15; Un Presidente imprevisto, p.
16; Viva Vox Constitutionis, p. 19; L’attuazione della Costituzione, p. 21; Le prime mosse
del Presidente, p. 22; Le rivendicazioni del Presidente, p. 24; Il Presidente nel gioco politico,
p. 26; La terza legislatura, p. 28; Il governo Tambroni, p. 32; Prove di centrosinistra, p. 40;
L’elezione di Segni al Quirinale, p. 43; L’attivismo in politica estera, p. 44; Quirinale e Vaticano, p. 49; Un settennato «interventista fino ai confini della legittimità costituzionale», p. 50.
Ignazio Visco, Capitale umano e innovazione: difficoltà antiche, sfide di oggi.
Note su Europa, Italia, Mezzogiorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
53
Introduzione, p. 53; Ricerca e innovazione, p. 55; Capitale umano e sistema produttivo, p.
58; Considerazioni conclusive, p. 64.
Antonio Armellini, Andrea Manzella, Quando la storia sembrava volgere
al positivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
67
Documenti, p. 71.
Luigi Cavallo, Felice Carena. Arte dell’immagine, attenersi al vivo delle forme . .
Pierluigi Ciocca, Su Giovanni Giolitti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Barbara Scaramucci, Settanta anni di televisione in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
87
97
104
Anni Sessanta: la paleo televisione è già finita. La BBC viene a studiare la Rai e nasce il
secondo canale, p. 106; Rivoluzioni studentesche, tecnologiche e politiche, p. 108; Servizio
pubblico non più del governo ma del parlamento, p. 110; Il colore dei sogni, anticipo dei
rutilanti anni Ottanta, p. 112; La rivoluzione delle TV private: con Fininvest la TV non sarà
più la stessa. E arriva Rai 3, p. 114; “L’Italia è il paese che amo...”. La stagione del conflitto
di interessi e del duopolio, la TV tematica, il satellite, i primi passi di internet, p. 118; Gli
ultimi anni analogici: i reality, Fiorello alla Rai, i Sanremo di Fazio, Carrà e Baudo, Montalbano, l’arrivo della pay TV e del digitale terrestre, p. 119; La televisione dei social e del web,
l’invasione della politica, la destra al governo e la fine della supremazia della Rai, p. 121.
Guido Pescosolido, Rosario Romeo “allievo” di Volpe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Giacomo Lasorella, Sfide digitali e processi democratici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Sergio Bucchi, Bagnoli: La Rivoluzione della Libertà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ermanno Paccagnini, Recenti percorsi narrativi al femminile III. Tra continuità,
discontinuità e novità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Omero Nardini, Curtatone e Montanara nelle lettere di Torello Franchini . . .
125
138
143
151
169
Premessa, p. 169; Gli antefatti buggianesi (e valdinievolini) della “guerra di popolo”, p. 169;
Il patriota Torello Franchini, p. 172; Torello Franchini volontario alla “guerra di popolo”
(maggio-agosto 1848), p. 174; Elementi di interesse dell’epistolario di Torello Franchini,
p. 175; Il 1849 a Borgo a Buggiano. La ‘reazione’ e le persecuzioni che colpirono anche Torello Franchini, p. 176; Appendice: Le lettere del civico volontario Torello Franchini, p. 181.
Stefano Folli, Diario politico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Gloria Giudizi: La questione del neurosessismo, a cura di Caterina Ceccuti . .
197
212
Andrea Becherucci, L’Europa nelle carte di Alcide De Gasperi . . . . . . . . . . . . . . .
Nicola Lupo, Fare buone leggi aiuta la democrazia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ugo De Vita, Alda Merini. Un ritratto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Silvana Federici, Pietro Masci, Obesità: un’epidemia complessa. Il ruolo delle
Istituzioni e della conoscenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
217
224
234
240
1. Introduzione e sommario, p. 240; 2. Gli aspetti medico-sanitari dell’obesità, p. 241;
3. Diffusione dell’obesità nel mondo, p. 245; 4. Variabili, patologie e fattori causali dell’obesità, p. 250; 5. L’obesità in Italia, p. 258; 6. Considerazioni: il ruolo dello Stato, p. 259;
7. Direzione per la ricerca futura, p. 262; 8. Conclusioni, p. 263.
Simone Fagioli, Il ratto di Proserpina (1570) di Alessandro Allori . . . . . . . . . . . .
267
Primo movimento: 1570, p. 267; Secondo movimento: 1844-1901, p. 268; Terzo movimento: 1901-1953, p. 270; Quarto movimento: 1953-2024, p. 274; Conclusioni: verso il futuro,
p. 275.
Riccardo Renzi, Cento anni dalla morte di Kafka: cosa ci ha lasciato? .......... 277
Tito Lucrezio Rizzo, L’assassinio dell’on. Matteotti cento anni dopo . . . . . . . . 283
Franco Miglietta, «Schizzo a Svista», inediti di un “organo di trincea” sul
Fronte Macedone: I. Il numero 1 del 12 marzo 1917 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 300
Introduzione, p. 300; Il primo «Schizzo a Svista» – (nr. 1, 12 marzo 1917), p. 305.
Paola Paciscopi, Un “Busto di Dante” di Amalia e Giuseppina Duprè per la
Casa-museo del Poeta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
318
Via Ricciarda 632, p. 318; Due amici, due sorelle e un “Busto di Dante”, p. 321; Sulle tracce del “Busto di Dante”, p. 326; Un’altra “Testa di Dante” per un’altra Italia, p. 328.
Massimo Seriacopi, Un fiorentino in Paradiso: Cacciaguida (e il suo nipote
Dante) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Adriano Bassi, La mancata collaborazione fra Giacomo Puccini e Gabriele
D’Annunzio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Vincenzo Arnone, Fortunato Pasqualino scrittore, filosofo e puparo . . . . . . . . .
Carlo Cesare Montani, Per il ricordo dell’esodo giuliano-dalmata e delle foibe.
Auspici e riflessioni attuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Francesco Leoncini, Tomáš G. Masaryk, il fascismo e la recente pubblicistica
italiana sul leader ceco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
330
338
346
351
356
Lo spartiacque del delitto Matteotti, p. 356; Masaryk e il fascismo, p. 358; Masaryk anticonformista, p. 359; La Nuova Europa. Il punto di vista slavo, p. 362.
Antonio Motta, Giuseppe Antonio Borgese e il giovane Tusiani . . . . . . . . . . . . . .
RASSEGNE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
366
372
Ilaria Clara Urciuoli, Arezzo celebra le tante anime del Vasari, p. 372.
RECENSIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
375
G. Amato, C’era una volta Cavour. La potenza della grande politica, di Andrea Frangioni,
p. 375; Alessandro Roncaglia, Il potere. Una prospettiva riformista, di Pier Francesco Lotito,
p. 378; Paolo Bagnoli, Francesco Ciccotti Scozzese – L’Ossessione del Duce, di Giulietta
Rovera, p. 381; Giulia Tellini, «Dentro a’ dilicati petti». Il volto femminile del Decameron, di
Oleksandra Rekut-Liberatore, p. 382; Nevio Casadio, Le stanze dei giardini segreti, di Sauro
Mattarelli, p. 388; Valerio di Porto e Manuele Gianfrancesco (a cura di), Senatori ebrei nel
Regno d’Italia, di Antonio Piana, p. 390.
L’avvisatore librario, di Aglaia Paoletti Langé . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
394
Istituzioni
FARE BUONE LEGGI
AIUTA LA DEMOCRAZIA*
Partirei da una considerazione: l’effetto complessivo delle attuali
modalità di produzione normativa è deleterio per la politica e per le istituzioni, oltre che per la qualità delle politiche pubbliche.
Le attuali modalità di produzione normativa pongono una serie di
incentivi a favore dell’adozione di norme contingenti, frammentarie, destinate a durare poco, così accentuando il problema principale che oggi le
democrazie contemporanee devono fronteggiare, che è quello dello shorttermism, o “presentismo”: il problema che viene spesso richiamato come il
tema della “veduta corta”. In estrema sintesi, le democrazie contemporanee, chiamate com’è noto a competere quotidianamente, anzitutto sul
piano economico e finanziario, oltre che in chiave di influenza geopolitica,
con sistemi che democratici non sono, rischiano di pagare un prezzo assai
elevato, perché il dipendere da meccanismi di tipo elettorale fa sì che le
politiche definite nei processi decisionali democratici si muovano soprattutto nell’ottica di favorire esigenze contingenti o immediate, al fine di
accrescere il consenso nelle successive elezioni.
Ovviamente, gli antidoti a questo problema si possono e si devono
immaginare anche e anzitutto sul piano della disciplina delle elezioni e
delle loro tempistiche, ma alcuni di essi riguardano necessariamente i processi di produzione normativa.
La disciplina di tali processi dovrebbe essere infatti rivolta a introdurre
incentivi di tipo esattamente opposto, che promuovano la “veduta lunga”:
* Sintesi dell’audizione dell’autore svolta il 18 marzo 2024 presso i Comitati per la legislazione di
Camera e Senato nell’ambito dell’indagine conoscitiva su “Profili critici della produzione normativa e
proposte per il miglioramento della qualità della legislazione”.
Fare buone leggi aiuta la democrazia 225
ossia che agevolino il perseguimento di interessi di medio-lungo periodo;
spingano al superamento dei poteri di veto, evitando che il legislatore ne
finisca vittima; incoraggino il legislatore a muoversi in chiave di inveramento e di ri-bilanciamento dei valori costituzionali, invece di lanciarsi all’inseguimento dell’ultimo fatto di cronaca.
Il Parlamento, insomma, dovrebbe essere soprattutto il luogo in cui
confrontarsi sulla lettura aggiornata dei principi e dei valori costituzionali.
Ad esempio, dando seguito ai tanti “moniti” che la Corte costituzionale ha
rivolto (dal fine vita, ai figli di coppie dello stesso sesso) nei confronti del
legislatore, anche ricorrendo a nuove tecniche processuali. Oppure, prendendo in adeguata e tempestiva considerazione le esigenze, anch’esse
“costituzionali” perché discendono dall’art. 11 Cost., che costantemente
emergono in sede europea. Ad opera delle Corti europee, ma non solo,
basti leggere, ad esempio, il rapporto annuale della Commissione europea
sullo «Stato di diritto», da cui emerge, tra l’altro, l’urgenza di approvare
una legislazione sul lobbying. E inoltre, anche in dialettica con le autorità
indipendenti, e alcuni loro orientamenti.
Non è questa la sede per delineare con precisione quali debbano essere
questi incentivi alla “veduta lunga”. Tuttavia, mi piace sottolineare, da un
lato, che la stessa esistenza dei Comitati per la legislazione si colloca in
questa logica, visto che essi sono chiamati a perseguire un obiettivo di lungo periodo, quale è quello della qualità della legislazione. Dall’altro, più in
generale, che i rimedi dovrebbero essere abbastanza radicali, visto che le
sedi e le modalità della rappresentanza politica sono stati interessati da
trasformazioni e sfide epocali, le quali richiedono innovazioni profonde.
Richiamo a tal fine il titolo di un libro, di uscita imminente, curato da studiosi e practitioners del Parlamento inglese: “Reimagining Parliament”.
In questa chiave, la riduzione dei parlamentari di cui alla legge costituzionale n. 1 del 2020 poteva aprire una bella opportunità, che finora è
rimasta non sfruttata, appunto a causa della “veduta corta” che, purtroppo,
ha spesso fin qui caratterizzato i lavori delle Giunte per il regolamento e le
opzioni privilegiate dai gruppi parlamentari nell’organizzazione delle
Camere e nell’esame delle riforme dei regolamenti parlamentari.
Vengo ora ad esaminare, seppure in sintesi, alcuni dei rimedi più strettamente attinenti alla produzione normativa. Inizio da quelli relativi alle
tendenze recenti in tema di decretazione d’urgenza, con particolare riguardo ai fenomeni della confluenza e dell’intreccio tra decreti-legge e dei
decreti-legge a contenuto multisettoriale, nonché al fenomeno del c.d.
“monocameralismo alternato”.
226 Nicola Lupo
È chiaro che le degenerazioni sono molteplici e si sono ulteriormente
aggravate, in particolare con riguardo ai decreti-legge, in questa legislatura.
Non intendo in alcun modo giustificarle: ne ho più volte evidenziato la
gravità e le conseguenze nefaste. Tuttavia, vanno al tempo stesso comprese
le ragioni del persistente, e anzi crescente, successo dello strumento. Quello dei decreti-legge è, infatti, un canale di produzione normativa comodissimo per tutti i protagonisti dei processi di produzione normativa: per il
Governo e per i singoli ministri, i quali hanno modo di predisporre norme
che, una volta approvate dal Consiglio dei Ministri e rifinite nei passaggi
successivi, entrano immediatamente in vigore (salvo poi subire rilevanti e
numerose modifiche nel corso della conversione, anche su iniziativa dello
stesso Governo); per i parlamentari, i quali possono aggiungere ulteriori
disposizioni al decreto-legge, in sede di conversione, con la certezza che i
loro emendamenti, se ammissibili e approvati, entreranno in vigore in tempi rapidissimi, con la pubblicazione della legge di conversione; infine, per i
rappresentanti di interesse, i quali possono sfruttare tutte queste opportunità, agendo o sul Governo o sui parlamentari (e a volte un po’ sull’uno e
un po’ sugli altri).
Il punto fondamentale è che questa straordinaria attrattività dei decreti-legge (e delle relative leggi di conversione) è ulteriormente accresciuta
dal fatto che gli altri canali di produzione normativa sono assai difficilmente praticabili.
Si pensi in particolare, anzitutto, all’alternativa per così dire più naturale: ossia, all’iniziativa legislativa ordinaria, la quale procede assai lentamente, non solo – com’è risaputo, e seppur con qualche eccezione – una
volta presentata in Parlamento, ma ancor prima nella fase endo-governativa, che procede assai più a rilento, sia nei passaggi maggiormente formalizzati (si pensi, per tutti, al coinvolgimento del sistema delle Conferenze o
alla “bollinatura” da parte del Ragioniere generale dello Stato), sia in quelli più informali. Basti qui citare l’esempio del disegno di legge di delega per
la semplificazione normativa (in cui, tra l’altro, si mira ad introdurre una
legge annuale per la semplificazione normativa e la VIG-Valutazione di
impatto generazionale, ossia una delle misure volte ad aiutare il legislatore
a considerare gli effetti sui più giovani e sulle generazioni future, che verrebbe ad essere inserita all’interno dell’AIR), che è stato approvato in via
preliminare dal Consiglio dei Ministri il 5 dicembre 2023, ma che ancora
attende di essere ri-approvato e poi trasmesso alle Camere.
Oppure, forse con ancora maggiore chiarezza, agli atti normativi che
per definizione dovrebbero essere più agevolmente modificabili, trattandosi di normazione di rango secondario: i regolamenti del Governo i quali,
Fare buone leggi aiuta la democrazia 227
anche quando urgenti, richiedono come minimo sei mesi di tempo per
completare il loro iter; quando non parecchi di più, specie ove il Consiglio
di Stato adotti pareri interlocutori. In questa chiave, è certo che non si
riscontrano più quegli effetti che a suo tempo potenzialmente si collegavano alla delegificazione, in termini di flessibilizzazione dell’ordinamento:
anzi, il ricorso a fonti secondarie si rivela invece per più versi controproducente, potendo queste intervenire in un ambito materiale più ristretto di
quello delle fonti primarie statali (alla luce dell’art. 117, sesto comma,
Cost.) ed essendo innegabile che oggi sia decisamente più facile e più rapido modificare una legge di quanto non sia cambiare un regolamento.
Per muovermi in chiave propositiva, direi che bisogna agire per disincentivare i decreti-legge e, soprattutto, nel senso di rendere più facilmente
e rapidamente percorribili i procedimenti ordinari di produzione normativa, a livello primario come a livello secondario.
Il che vuol dire, da un lato, far camminare più speditamente, in Parlamento, ma anche presso lo stesso Governo, incluso il sistema delle Conferenze (che è tuttora regolato da norme e prassi adottate quando le degenerazioni dei processi di produzione normativa non avevano raggiunto le
dimensioni attuali), le iniziative legislative ordinarie.
Dall’altro, rendere molto più agevole il percorso delle fonti secondarie, sicuramente abbreviando i termini per l’espressione del parere da
parte del Consiglio di Stato e rendendoli tassativi e perentori, ma immagino che non basti.
Inoltre, si può richiamare la recente esperienza degli allegati al nuovo
codice degli appalti pubblici di cui al d.lgs. n. 36 del 2023. Di fronte all’esigenza di rispettare le milestone del PNRR in materia di riforma degli
appalti pubblici, che fissavano al 31 marzo 2023 il termine per l’adozione
del codice e al 30 giugno 2023 il termine per l’adozione di tutti i suoi atti
attuativi, il legislatore delegato – in considerazione della sostanziale impossibilità di procedere, nell’arco di soli tre mesi, all’adozione dei regolamenti
– ha optato per emanare subito, come allegati al codice, tutti i principali
atti attuativi e, onde evitare un effetto di legificazione, ne ha consentito la
modifica – purché con sostituzione integrale – ad opera di atti secondari,
diversamente configurati a seconda dei casi.
È una modalità di intervento normativo di tipo innovativo e che ovviamente presenta vantaggi e svantaggi. Tuttavia, mi sembrerebbe utile, anche
nell’ottica dei Comitati per la legislazione, monitorarne attentamente l’attuazione e vedere se tale meccanismo si presti ad essere in qualche modo
esteso, anche al di là della materia degli appalti pubblici. I testi unici
“misti”, immaginati sul finire degli anni Novanta, hanno prodotto effetti
228 Nicola Lupo
tutt’altro che positivi e sono stati poi abbandonati (salvo ovviamente quelli tuttora vigenti), ma il loro obiettivo mi pareva condivisibile e in qualche
misura viene nuovamente perseguito ora, in forme diverse, con la tecnica
adottata per la redazione del codice degli appalti pubblici.
Quanto poi al c.d. “monocameralismo alternato”, credo che deputati e
senatori lo conoscano meglio di chiunque altro e ne subiscano in prima
persona le conseguenze negative. Comprendo bene quanto sia frustrante
trovarsi ad esaminare in un ramo o nell’altro del Parlamento – e a votare,
a favore o contro, poco importa – testi “blindati”, non suscettibili, perciò,
di essere emendati: assumendosi così la responsabilità di testi legislativi
alla cui stesura non si è avuto alcun modo di contribuire attivamente.
Tuttavia, credo sia possibile anche dare una lettura per così dire in
bonam partem di tale prassi, e non la tralascerei del tutto. In fondo, in
questo modo Camera e Senato si coordinano tra di loro, seppure forzosamente e con modalità discutibili (risultando alla fine decisiva l’individuazione del ramo del Parlamento cui il disegno di legge è inviato dal Governo
in prima lettura, con un’opzione in genere rimessa al Ministro per i rapporti con il Parlamento), al fine di assicurare un contributo parlamentare
“unitario” ed evitare inutili e ingiustificate navette. Un coordinamento che
pare a maggior ragione necessario nel momento in cui, ormai, gli elementi
di differenziazione tra i due rami del Parlamento si sono ulteriormente
ridotti, una volta omogeneizzato il sistema elettorale e parificato l’elettorato attivo, per cui orientamenti assai diversi tra le due Camere risulterebbero difficilmente giustificabili.
In questa chiave, in termini di proposta, mi permetterei di suggerire la
costruzione di forme di istruttoria parlamentare congiunta tra le competenti commissioni di Camera e Senato. Anzitutto quanto alle audizioni, che
ben si potrebbero unificare, così come già accade in sede di esame del DEF
e del disegno di legge di bilancio. Potrebbe essere anche l’occasione per
definire meglio obiettivi e modalità di questo multiforme strumento di
acquisizione della conoscenza. Quando le audizioni sono rivolte non a far
illustrare la posizione dei rappresentanti di interessi, bensì ad acquisire
expertise tecnico-scientifiche, occorrerebbe evitare che il coinvolgimento
degli esperti avvenga esclusivamente sulla base dell’affiliazione o della
vicinanza politica degli auditi.
L’istruttoria congiunta potrebbe avere altresì ad oggetto un confronto
sul merito delle proposte emendative. Un confronto che già oggi tende ad
essere pressoché sistematicamente coordinato in sede politica, tra deputati
e senatori, in modo da consentire anche ai parlamentari della camera che
Fare buone leggi aiuta la democrazia 229
esamina il testo in seconda lettura di trasmettere – informalmente, si intende – i propri emendamenti e, in caso di appartenenza alla maggioranza,
altresì di partecipare alle riunioni con il Governo in cui si istruisce il merito degli emendamenti. Tale confronto andrebbe forse formalizzato, sul
modello dei “triloghi”, che tanto successo hanno registrato nei processi
decisionali dell’Unione, consentendo, grazie al negoziato e alla progressiva
condivisione del testo tra Commissione, Parlamento e Consiglio dell’Unione europea, di svolgere e concludere in tempi ragionevoli una procedura
legislativa ordinaria, che altrimenti richiederebbe anni per poter giungere
a compimento.
Sarei invece decisamente più severo nella valutazione del fenomeno della confluenza dei decreti-legge: o, meglio, della confluenza di decreti-legge
ancora in corso di conversione nella legge di conversione di un altro decretolegge, all’interno della quale vengono altresì collocate le disposizioni di abrogazione e di (contestuale) sanatoria del decreto-legge confluito. Si tratta di
una prassi dirompente e che sconvolge un’ordinata produzione normativa,
anche se formalmente può apparire rispettosa delle prerogative parlamentari, visto che in definitiva sono le Camere ad avallare tale confluenza.
In proposito, è vero che la Corte costituzionale ha evitato di dichiararla contrastante con la Costituzione (in particolare nella sentenza n. 251 del
2014), ma non mi spingerei sino a sostenere che la abbia avallata. Tanto
più che il Presidente della Repubblica Mattarella ha fatto presente, con una
sua lettera del 23 luglio 2021, indirizzata ai Presidenti di Senato e Camera
e al Presidente del Consiglio, che «la confluenza di un decreto-legge in un
altro provvedimento d’urgenza, oltre a dover rispettare il requisito dell’omogeneità di contenuto, dovrà verificarsi solo in casi eccezionali e con
modalità tali da non pregiudicarne l’esame parlamentare».
Ho perciò molto apprezzato il Comitato per la legislazione della Camera che, sulla scorta dell’indicazione di Mattarella, ha inserito, nel suo parere espresso lo scorso 6 marzo, una raccomandazione sulla necessità di
avviare una riflessione nel Parlamento e nel Governo «su come evitare, per
il futuro, la ‘confluenza’ di decreti-legge in altri provvedimenti di urgenza,
limitando tale fenomeno a circostanze eccezionali, da motivare adeguatamente nel corso dei lavori parlamentari».
Connetterei a questo tema una valutazione sui contenuti dei disegni di
legge costituzionale all’esame del Senato, su iniziativa del senatore Paroli e
del senatore Tosato, entrambi volti a modificare l’art. 77 Cost. al fine di
aumentare da sessanta a novanta giorni il termine per la conversione dei
decreti-legge (il secondo stabilendo altresì che il ramo del Parlamento cui
230 Nicola Lupo
il disegno di legge è trasmesso in prima lettura debba concluderne l’esame
entro sessanta giorni).
Su queste iniziative di revisione costituzionale la mia prima reazione è
stata analoga a quella che è stata esplicitata da Giuliano Amato: una valutazione assai critica, che evidenzia come si tratterebbe di un uso discutibile della revisione costituzionale, in quanto volto sostanzialmente ad avallare le degenerazioni della prassi, anziché a cercare di porvi rimedio.
Ciò detto, si può fors’anche provare a cogliere qualche aspetto positivo
in tali iniziative di revisione costituzionale, ove opportunamente integrate.
Si renderebbe così, infatti, un po’ meno attrattiva la via dell’emendamento
al disegno di legge di conversione e, soprattutto, potrebbe forse essere il
modo di intervenire per costituzionalizzare un’istruttoria congiunta (che a
mio avviso si potrebbe per larga parte costruire anche a Costituzione vigente, come appena rilevato) e per correlativamente vietare in modo drastico,
a mo’ di compensazione, la confluenza di decreti-legge nelle leggi di conversione di altri decreti-legge e altresì la posizione della questione di fiducia
sulla legge di conversione. Insomma, se proprio si deve toccare l’art. 77
Cost., occorrerebbe farlo considerando tutte le evoluzioni e le degenerazioni della prassi, proponendosi di arginarle, anziché limitarsi ad intervenire
sul solo profilo relativo ai tempi della conversione.
Mi viene poi sollecitata una riflessione sulle misure per assicurare un
ragionevole bilanciamento tra l’esigenza di tempestività d’azione da parte
del Governo e l’effettività dell’esame parlamentare, che preservi l’iniziativa
legislativa e la potestà emendativa del Parlamento.
È evidente che alcune delle ipotesi fin qui prospettate riguardano anche
questo profilo. Mi permetto di aggiungere soltanto due elementi ulteriori.
Il primo ha a che fare con le commissioni permanenti. Per assicurare
un effettivo esame parlamentare, le competenze delle commissioni permanenti risultano ormai decisamente troppo parcellizzate rispetto alla delimitazione materiale di larga parte delle iniziative legislative; e anche alla
dimensione delle politiche pubbliche, le quali ormai tendono ad accorparsi
intorno a contenitori più ampi (green deal, transizione digitale, etc.). Si
spiega così il trend di assegnare larga parte dei provvedimenti alle commissioni con competenze “orizzontali” (come Bilancio o quella Affari costituzionali, peraltro già oberate da un intenso carico di lavoro in quanto commissioni “filtro” per eccellenza) e di coinvolgere pressoché tutte le altre
commissioni in sede consultiva.
Una riflessione di tal tipo si è recentemente avviata anche in seno al
Parlamento europeo e pensavo si sarebbe compiuta, nei due rami del Par-
Fare buone leggi aiuta la democrazia 231
lamento italiano, a seguito della riduzione di deputati e senatori. Ha invece
prevalso una logica di tipo conservativo e contingente, volta probabilmente anzitutto a salvaguardare le posizioni che sono assicurate negli uffici di
presidenza delle commissioni, monocamerali e bicamerali. Una logica di
breve periodo – come si diceva – che è però chiaramente penalizzante per
il Parlamento nel suo insieme, e che finisce per indebolirne in modo significativo la posizione nel sistema.
Il secondo elemento riguarda il potere di emendamento, che a mio
avviso andrebbe ridisegnato, anche piuttosto in profondità. Il punto di
equilibrio tra l’esigenza di tempestività d’azione da parte del Governo e
l’effettività dell’esame richiede, da un lato, la rinuncia ai maxiemendamenti, o anzi il loro esplicito divieto, che ben potrebbe disporsi pure con analoghe norme contenute nei regolamenti di Camera e Senato; e, dall’altro,
anche a mo’ di compensazione, l’introduzione di una qualche limitazione
al potere di presentare emendamenti da parte dei singoli parlamentari.
Un potere, quest’ultimo, tradizionalmente inteso come privo di limiti
quantitativi, e che negli scorsi decenni non si è mai trovato il coraggio di
toccare, preferendosi piuttosto agire sulla limitazione degli emendamenti
da porre effettivamente in votazione, attraverso prima la sperimentazione
e poi la sostanziale generalizzazione della “segnalazione” degli emendamenti da parte dei gruppi. So bene che si tratterebbe di una misura delicata e in qualche modo in controtendenza – volta cioè ad auto-limitare uno
dei pochi poteri rimasti al parlamento – ma credo che, ove accompagnato
all’eliminazione dei maxiemendamenti, l’effetto potrebbe essere positivo,
togliendo tra l’altro al Governo l’alibi di ricorrere alla questione di fiducia
o ai decreti-legge «per fronteggiare migliaia di emendamenti parlamentari».
Infine, dedicherei poche parole agli strumenti volti a rafforzare la coerenza, chiarezza e precisione dei testi normativi e l’efficacia delle disposizioni rispetto all’impatto previsto e ai risultati attesi. In proposito, gli
strumenti su cui vorrei sollecitare una riflessione sono tre, di ordine abbastanza diverso tra di loro.
Il primo è relativamente semplice, almeno nella sua enunciazione generale, e consiste nell’aggiornamento delle circolari sul drafting normativo. È
un aggiornamento che hanno appena ultimato le regioni, e che mi appare
necessario, anche alla luce dei tanti mutamenti, sia costituzionali, sia tecnologici, che sono intervenuti dal 2001 ad oggi.
Sarebbe altresì il modo di far confluire in quelle circolari alcune tra le
tante indicazioni che sono emerse, in questi decenni, nella “giurisprudenza” dei Comitati per la legislazione. Ricordo che fu un po’ questo il man-
232 Nicola Lupo
dato che ricevetti quando, per conto dell’amministrazione della Camera dei
deputati, fui chiamato a partecipare, assieme al capo del servizio per la
redazione degli atti normativi, al gruppo di lavoro che predispose le circolari del 2001, il quale si riuniva a Palazzo Chigi, con il coordinamento del
direttore del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi-DAGL. Ma si
trattava, allora, di orientamenti ancora piuttosto “giovani” e limitati, i quali comunque trovarono qualche primo spazio in quelle circolari.
Il secondo strumento è, ovviamente, quello dell’adozione di testi unici
e codici di settore: qualcosa si muove in proposito, per esempio riguardo
alla riforma fiscale, ma ancora mi pare mancare, nonostante alcune apprezzabili iniziative del Dipartimento per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa, una regia complessiva, supportata da una robusta e
qualificata struttura tecnico-giuridica, in grado di assicurare una metodologia univoca di redazione dei testi unici e dei codici di settore.
Il terzo e ultimo strumento è quello relativo alla valutazione dell’impatto. In proposito, credo che la misurazione dell’impatto e l’attenzione
al risultato siano resi sempre più necessari, nella legislazione e più in
generale nelle politiche pubbliche, dal funzionamento dell’Unione europea; e in particolare dal suo nuovo “metodo di governo”, che si sta sperimentando con il PNRR e che ora sta per essere generalizzato in applicazione del nuovo Patto di stabilità e crescita (e in prospettiva potrebbe
essere esteso altresì alle politiche di coesione, su cui pure si sta lavorando
a una riforma, sia a livello di Unione europea, sia a livello nazionale). Un
nuovo “metodo di governo”, che è incentrato sui piani “nazionali” di performance, con risorse finanziarie comuni versate al conseguimento soddisfacente, ad avviso della Commissione europea, di obiettivi qualitativi
e quantitativi. E altresì su un costante negoziato bilaterale, tra la Commissione europea e lo Stato membro interessato, nel corso del quale
bisogna essere pienamente consapevoli degli effetti previsti e di quelli
raggiunti dalle diverse misure poste in essere o semplicemente ipotizzate
nell’implementazione di tali piani.
Credo che la realizzazione dei rimedi che ho prospettato richieda
un’intensa attività interistituzionale, con il coinvolgimento non solo di
Camera e Senato, ma anche del Governo, della Presidenza della Repubblica e, infine, della Corte costituzionale.
Quanto a quest’ultima, mi piace concludere ricordando come, rispetto
a una ventina di anni or sono, la Corte costituzionale abbia compiuto una
serie di passi significativi volti ad incoraggiare un’attività interistituzionale
in questa direzione. Faccio riferimento, da un lato, alle linee più recenti
Fare buone leggi aiuta la democrazia 233
della sua giurisprudenza e alla assai significativa sentenza n. 110 del 2023,
giustamente valorizzata in sede dottrinale come in sede politica, nella quale per la prima volta la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità di una disposizione (di una legge regionale), in quanto «radicalmente oscura», ritenendola contrastante con il principio di legalità e con la stessa separazione dei
poteri, nonché con il principio di parità di trattamento tra i consociati, il
quale costituisce «il cuore della garanzia consacrata nell’art. 3 Cost.».
Dall’altro, e soprattutto, ad alcune indicazioni presenti nelle relazioni
annuali degli ultimi Presidenti della Corte costituzionale, in cui si è costantemente dedicata una specifica attenzione ai rapporti con il legislatore –
che probabilmente rappresentano il fronte più critico della giustizia costituzionale in Italia – spingendosi persino, nel caso della relazione della
Presidente Cartabia, a richiamare la «tradizionale consuetudine invalsa in
Germania di svolgere incontri informali a cadenza annuale tra la Corte
costituzionale federale e il Governo federale, così come tra la Corte costituzionale e i vertici delle Camere federali, per uno scambio generale di
informazioni»; nonché il «proficuo raccordo tra Corti costituzionali e
Camere», che in più esperienze avviene «a livello di funzionari».
Insomma, direi che si può ritenere sostanzialmente superata la tradizionale ritrosia della Corte costituzionale ad essere attivamente coinvolta,
purché ovviamente avvenga in forme adeguate e con le dovute cautele, nei
rapporti interistituzionali al fine di migliorare la qualità della legislazione e
dei processi di produzione normativa. In fondo, è la stessa Corte costituzionale ad avere bisogno di un legislatore più lungimirante e più sensibile
ad una corretta ed equilibrata attuazione dei principi costituzionali.
Nicola Lupo