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Cobles e lays, danses e bon saber L’última cançó dels trobadors a Catalunya: llengua, forma, edició a cura d’Anna Alberni i Simone Ventura viella © 2016 Viella s.r.l. - IRCVM All rights reserved First published: 2016 ISBN 978-88-6728-116-9 (printed book) ISBN 978-88-6728-798-7 (e-book) Aquest llibre és resultat del treball dut a terme pel projecte The Last Song of the Troubadours. Linguistic Codiication and Construction of a Literary Canon in the Crown of Aragon, xiv-xvth Centuries (European Research Council, FP 7 2009-2013-240170). La recerca ha comptat, successivament, amb l’ajuda dels dos projectes del Ministerio de Ciencia e Innovación La poesía francesa en las cortes de la Corona de Aragón (siglos xivxv): verso y formas de transmisión (FFI2009-10065) i La poesía francesa en las cortes de la Corona de Aragón (siglos xiv-xv): recepción y circulación (FFI2014-54844-P). viella libreria editrice via delle Alpi, 32 I-00198 ROMA tel. 06 84 17 758 fax 06 85 35 39 60 www.viella.it Índex AnnA AlbeRnI Presentació. Sobre l’edició d’un corpus textual occitanocatalà 9 Llengua poètica i edició FAbIo ZInellI Costruire una lingua. Elementi linguistici tolosani nella poesia catalana del medioevo tra prestito e convergenza 33 AnnA AlbeRnI La primera transmissió manuscrita de Jordi de Sant Jordi: el copista del cançoner Vega-Aguiló entre ‘anticz e noels trobadors’ 93 MARtA MARFAny Les balades franceses del cançoner Vega-Aguiló i Oton de Granson. Oliver de Gleu: proposta d’identiicació d’un dels poetes del recull 127 El ‘bon saber’ MARIA SoFIA lAnnuttI Concordia discors. Le strutture formali della lirica catalana ante Ausiàs March 141 SIMone VentuRA Poesia, grammatica, testo: il Mirall de Trobar di Berenguer d’Anoia e il ms. 239 della Biblioteca de Catalunya 159 beAtRICe FedI Prosodia, metrica, musica nelle Leys d’Amors 187 6 Cobles e lays, danses e bon saber El Roman de Cardenois ClAudIo lAgoMARSInI Poesia lirica nel romanzo in prosa: Guillaume de Machaut e l’anonimo Roman de Cardenois 211 AnnA MARIA dI FAbRIZIo Note lessicali sul Roman de Cardenois (in margine al glossario di una nuova edizione) 227 Músics i música a la Corona d’Aragó medieval SteFAno MARIA CIngolAnI Joglars, ministrers i xantres a la Corona d’Aragó (segles xIII-xV). Observacions i perspectives de recerca a propòsit d’un diplomatari en curs 237 Principals manuscrits citats 269 Abreviacions i sigles 271 Índex de noms i d’obres 273 ClAudIo lAgoMARSInI Poesia lirica nel romanzo in prosa: Guillaume de Machaut e l’anonimo Roman de Cardenois Il fatto che sia possibile collocare un romanzo mediofrancese in prosa all’interno del discorso sulla poesia catalana prima di Ausiàs March è solo l’ennesima conferma dello straordinario dinamismo della cultura medievale1 e, oserei sostenere, dell’europeismo dell’Età Media (un europeismo avanzato, perché radicato, prima ancora che nelle istituzioni, nel senso di appartenenza a una medesima comunità culturale). È opportuno, prima di illustrare il collegamento francocatalano appena evocato, presentare brevemente il testo che si pone al centro del presente contributo, ovvero il Roman de Cardenois, un romanzo francese anonimo – nonché trasmesso acefalo e mutilo –, databile alla ine del xIV secolo (comunque entro l’anno 1400)2 e tràdito da un unico manoscritto, conservato a Madrid, Biblioteca Nacional de España, 10264 [= Mn].3 Gli aspetti di maggiore interesse del romanzo non risiedono, forse, nelle sue qualità letterarie: recensendo l’edizione procurata da Marcello Cocco (CoCCo 1975), Gian Battista Speroni non ebbe esitazioni nel deinire il Cardenois «una quasi compiuta enciclopedia di banalità cavalleresche».4 Va riconosciuto che la struttura, lo stile, i motivi narrativi e, per dirla senza altri tecnicismi, l’allure del romanzo inducono a inquadrarne l’anonimo autore tra i prosatori minori dei secoli xIV-xV. La narrazione percorre la tormentata storia d’amore e d’armi di Cardenois, rampollo di stirpe regale che, innamoratosi de lonh di Passebeauté, iglia del re di Outre-les-Mers, parte alla volta del regno orientale in cui risiede la fanciulla. La prima parte dell’opera si sviluppa intorno al viaggio per mare del giovane e del suo fedele compagno Bruniffort. Una volta raggiunta la destinazione, il rac1. È ancora oggi utile, per un quadro di ampio respiro sulla questione, la consultazione del classico volume di PAgèS 1936, dove, accanto ad una più approfondita indagine relativa alla penetrazione catalana della produzione lirica francese, è fornito un proilo relativo al romanzo. 2. Cfr. infra, e n. 26. 3. In attesa della pubblicazione della nuova edizione del romanzo, per cura mia, di Anna Di Fabrizio e di Fabio Zinelli (cui d’ora in avanti faremo riferimento con la sigla «ed.» seguita dall’indicazione di paragrafo), una descrizione del codice si trova in CoCCo (1975: 11-13). Altre schede in doMIngueZ boRdonA (1931: 78); heRnándeZ APARICIo-SAlInAS CAno de SAntAyAnA (2001, t. XV: 38). Un’utile descrizione del ms. è disponibile, inine, sul sito «Philobiblon», nel database della bIteCA, Bibliograia de Textos Catalans Antics (scheda ms. n° 1618). 4. SPeRonI (1977: 110-134). 212 Cobles e lays, danses e bon saber conto si concentra su una serie di brevi scene di corte, decisamente più statiche e ripetitive, con la rappresentazione delle schermaglie d’amore di Passebeauté e lo sdegno di Cardenois riiutato. Dopo l’ennesima delusione – dovuta non a una reale impermeabilità amorosa di Passebeauté, ma al rigido codice di comportamento cortese – Cardenois si allontana dal regno (e vengono narrati, in questa sezione, alcuni suoi exploits cavallereschi), per farvi successivamente ritorno come campione in un’importante battaglia. Segue, prevedibilmente, la riconciliazione con l’amata. Ma è proprio a questo punto che il copista del manoscritto di Madrid interrompe la scrittura (circa a metà del recto del f. 74) – impossibile dire se per una lacuna dell’antigrafo o per una sospensione della copia – cosicché il vero scioglimento, che sembrerebbe essere imminente, viene a mancare. L’intreccio, come vide Speroni, ma esprimendo probabilmente un giudizio troppo ingeneroso, presenta situazioni e motivi frequentati dalla tradizione cavalleresca e arturiana (sui cui apporti torneremo tra poco), con qualche traccia di contaminazione diretta verso motivi del romanzo orientalista (certi scenari marinareschi e l’amore per la bella saracena ricordano, ad esempio, situazioni analoghe a prose catalane, come l’Història de Jacob Xalabín).5 Veniamo senz’altro alla più signiicativa caratteristica del Cardenois: nel tessuto narrativo in prosa, l’autore ha intercalato otto componimenti lirici completi (oltre ad altri più brevi frammenti e suggestioni) tratti dal corpus di quello che fu forse il principale poeta francese del sec. xIV, Guillaume de Machaut.6 Le liriche machautiane – ma è necessario avvertire che il narratore tace sistematicamente il nome del poeta e anzi attribuisce la composizione di alcuni testi ai personaggi stessi, in una sorta di plagio esibito – si inseriscono come veri e propri intermezzi nella narrazione, a sottolineare momenti di particolare pathos. È il caso, ad esempio, della prima inserzione (la balade di Machaut Hé!, gentilz cuers, me convient il mourir, immediatamente seguita dal lai che inizia Qui n’auroyt autre deport),7 che Cardenois esegue, affacciato a una inestra sul mare, preso in un’improvvisa rêverie, mentre pensa all’amata lontana. Altrove, i testi in versi introducono un elemento di variatio all’interno della prosa, ponendosi ora come vero e proprio commento lirico a una determinata situazione narrativa (accade, per esempio, nel caso di Je ne me puis saouller, il virelai machautiano che accompagna l’accessus di Cardenois al palazzo dell’amata),8 ora come controcanto versiicato alla corrispondenza tra gli amanti (si pensi a Riche d’amour et mendiant d’amie, la balade di Machaut che Cardenois invia a Passebeauté tramite la dama di compagnia Liesse,9 oppure al frammento di Mes dous amis, una complainte i cui versi inali sono allegati a una lettera in prosa di Passebeauté).10 5. Cfr. ZInellI (2012: 309). 6. Oltre a ZInellI 2012, cfr. AlbeRnI (2010: 317-347) e AlbeRnI (2012: 74-108). Riprendo nel testo del mio intervento alcuni dei risultati che ho anticipato in lAgoMARSInI (2012: 109-133). 7. Cfr. ed. §4. 8. Ed. §9. 9. Ed. §18.99. 10. Ed. §24.9. lAgoMARSInI, Poesia lirica nel romanzo in prosa 213 In modi e circostanze diverse, cercando una variazione anche nel creare le condizioni narrative appropriate per richiamare nel racconto la singola pièce lirica, l’autore sembrerebbe voler attuare, in deinitiva, quell’«effet de rupture» che Emmanuèle Baumgartner ha opportunamente attribuito alle inserzioni in versi (anch’esse variegate per tema, genere e contesto) presenti nel duecentesco Tristan en prose.11 Sul piano funzionale, la commistione prosa-verso rientra, anche per il Cardenois, tra i meccanismi impiegati nella narrativa medievale per marcare o connotare il discorso. Nelle tradizioni che afidano la propria trasmissione a copie manoscritte, infatti, la forma mista può assumere alcune delle funzioni che la stampa moderna assegnerà alla marcatura tipograica (corpo minore, introduzione di virgolette, corsivi, etc.): un pezzo di bravura del protagonista, un’invocazione o un planctus dell’eroina, l’a parte di un determinato personaggio o dello stesso narratore – tutte tipologie di discorso che l’autore di un testo destinato alla stampa moderna potrebbe evidenziare con accorgimenti tipograici di vario genere – sono ottimi esempi di discorso marcato o connotato all’interno di una cornice di primo grado, discorsivamente più neutra, in prosa.12 L’inserzione dei versi nella prosa può servire anche a enfatizzare le modalità enunciative, come può veriicarsi, ad esempio, per una performance orale eseguita da un determinato personaggio, che il racconto di primo grado andrà a issare in modo indelebile sulla pagina scritta, come non potrebbe accadere se il narratore si limitasse a riassumere il contenuto, ma senza una citazione in presa diretta, dei versi pronunciati o cantati dal personaggio.13 Si consideri, ad esempio, il passaggio seguente, un brano cruciale del romanzo (ed. §22.73-80), nel quale, dopo aver preso coscienza del fatto che il proprio atteggiamento sdegnoso, ancorché di prammatica, ha causato l’allontanamento di Cardenois, Passebeauté esce da un salone da ballo, dove si sta svolgendo una delle tante feste, per cercare un momento di solitudine e meditazione: (…) Et dites ces paroulles, s’en alla en sa chambre et ne voult que nully y entrast, car elle disoit que la teste li faisoit mal. Mais je cuide qu’elle avoit plus de mal en son cuer que en la teste. Et tout homme prist son congié, et elle se mist tantost en son lit pource que nully ne le peust tourber en son penssement. Et Liesse la vouloit mettre en paroulles, mais elle ne le vouloit souffrir, pource qu’elle ne se tenoit point pour puissant de covrir son mal, et ainsi passerent celle nuit sans dourmir. Et quant vint au matin, elle se mist a faire une chanson qui disoit: 11. bAuMgARtneR (1973: 19-25). 12. «The prosimetrum allowed for its two constituents to be related in many different fashions. The verse could function much as do quotation marks in modern typography: to demarcate unmistakably a direct speech or pronouncement, either by a person who participates in the narrative or by the author or narrator as a form of commentary or aside. Similarly, verse could act almost as a fancy exclamation point in highlighting an episode of special importance or in intensifying drama. In such instances the verse could either convey a message that had not yet been imparted or it could restate an insight already made in prose» (ZIolkoWSkI 1997: 45-66, a p. 60). 13. huot 1987, spec. ch. 4 («Text as Performance, Text as Artifact: Contrasting Models for the Romance with Lyric Insertions») e p. 108. 214 Cobles e lays, danses e bon saber 5 10 Amis, se par ma foulie escondite t’ay m’amour, je te promet en bone foy, plus doulente en suy que toy. Quant vint a la despartie – c’est pour un pou d’escondire de bouche et non de cuer fait – c’est mon doulz amiz retrait de moy, dont j’en mourray d’ire. Ha, Dieu!, que ma bouche ha fait, ne comment ha osé dire tout le contraire du fait de ce que mon cuer desire? Et quant elle fu levee, si alloua elle meisme la chansson, car elle ne vouloit mie que elle fust misse avec les autres qu’elle avoit faites. Lors se abilla et s’en alla ou il li souvient de la journee que Cardenois fust fait chevalier et que elle li desseignoit son espee. (…). La funzione e l’effetto di questi versi14 – in un testo avaro, come si conviene alla prosa narrativa francese del tempo, di interventi autorilessivi dei personaggi – non sono molto diversi da quelli che un testo teatrale, ad esempio, cercherebbe di ottenere inserendo un monologo dell’eroina. E neppure ricorrendo a un ritratto psicologico in terza persona il narratore riuscirebbe, probabilmente, a rappresentare in modo altrettanto eficace i moti dell’animo di Passebeauté. La farcitura lirica spezza dunque la monotonia della sintassi per far salire di un gradino, nella direzione del patetico, il tono del discorso. Venendo alle connessioni tra il nostro romanzo e la Catalogna, è opportuno partire proprio da Guillaume de Machaut. È nota, infatti, la predilezione di Violant de Bar – moglie di Joan I (re negli anni 1387-1396) e una fra le promotrici della cultura francese in Catalogna alla ine del sec. xIV – per l’opera del grande poeta e musico francese, come risulta in particolar modo dalle lettere della cancelleria aragonese, dove spesso è questione di prestiti e richieste di manoscritti: in varie occasioni si fa riferimento al «libre molt bell e bo de Guillem de Maixaut» (1389) oppure, per antonomasia, al «libre appellat Mechaut» (1386 e 1390), indicato anche tout court come «lo Meschaut» (1390).15 Una passione di famiglia, evidentemente, perché già nel 1380 Joan I chiede alla madre di Vio14. Il componimento è parte di un virelai anonimo, attestato, in questa forma, unicamente dal Cardenois e dal canzoniere Vega-Aguiló (II 147r), ma trasmesso secondo un’altra redazione anche nello Joli Buisson de Jeunesse di Froissart (1373) e dal canzoniere Penn (Philadelphia, University of Pennsylvania Library, MS. Fr. 15, al f. 41 vb). L’incipit è inoltre citato da Evrard de Conty nel commento alla sua traduzione dei Problemata pseudo-aristotelici, come anche nel commento degli Echecs amoureux. Per approfondimenti sul testo e la sua trasmissione, rinvio a bAdel 1986, AlbeRnI (2010: 328-336), ZInellI (2012: 313). 15. In attesa della pubblicazione dei documenti di cancelleria, ad opera di Anna Alberni e Stefano Maria Cingolani, citiamo da RubIó I lluCh (1908-1921, I §§ CCCCIII-IV: 360-61), e VIellIARd (1930: 21-40, alle p. 33-34 e 38). lAgoMARSInI, Poesia lirica nel romanzo in prosa 215 lant, la Duchessa di Bar, di fargli pervenire il «romanç de Mexaut». Per parte sua, anche Machaut – che pure non viaggiò mai in Catalogna – ebbe qualche legame indiretto con la Corona d’Aragona: in particolare siamo al corrente del suo rapporto di intima amicizia con Robert de Bar, padre di Violant (che viene citato come suo ospite in due lettere del Voir Dit),16 e intrattenne relazioni dirette con Jean duca di Berry (che gli commissionò, tra l’altro, la Fontainne amoureuse), zio per parte materna della stessa regina. A re Carlo II di Navarra furono poi dedicati il Jugement dou roy de Navarre e il Confort d’ami. Non deve dunque stupire, in tale quadro, se il canzoniere Vega-Aguiló, il celebre collettore catalano della declinante esperienza lirica trovatoresca, conserva anche una suite francese che si apre proprio con testi di Machaut, per poi continuare con una sezione consacrata a Oton de Granson.17 Circa le citazioni da Machaut disseminate nel Cardenois, già Speroni rilevava la necessità di compiere uno studio, o almeno un tentativo di razionalizzazione, delle fonti manoscritte a cui l’anonimo autore del romanzo ha fatto ricorso per le inserzioni liriche.18 In mancanza di esplicite prese di posizione, è possibile che Marcello Cocco, primo editore del romanzo, giudicando la lingua del Cardenois compatibile con la scripta franco-piccarda, abbia implicitamente risolto la questione inferendo, sulla base dei soli dati linguistici, una connessione con fonti autoctone, ovvero localizzabili nell’area intorno a Reims, dove Machaut fu canonico. Tuttavia questa ipotesi viene a cadere – spingendoci di nuovo verso la necessità di una veriica stemmatica delle fonti manoscritte – qualora si valutino i risultati di una nuova e più approfondita analisi della lingua del romanzo (ovvero del testo che ci è tramandato dal suo unico manoscritto). I tratti del francese nordorientale rilevati da Cocco, per i quali Speroni ha poi suggerito una ricollocazione solo orientale, verso la Borgogna, sembrano piuttosto da interpretare come una patina supericiale, che mostra semplicemente l’adesione da parte dell’anonimo autore allo standard piccardizzante cui gli autori francesi e non dei secoli xIII-xV tendevano ad adeguarsi. Come è stato recentemente mostrato da Fabio Zinelli, la complessa stratigraia linguistica del Cardenois lascia intravedere, sotto un primo livello franco-piccardo, alcuni catalanismi che potrebbero risalire all’autore, insieme a una serie di tratti più propriamente provenzali, suscettibili di risalire al sistema linguistico del copista di Mn.19 La nostra «enciclopedia di banalità», una volta che si siano messi meglio a fuoco questi aspetti fondamentali – interpolazione di liriche di Machaut, composizione in area iberica, circolazione nel sud della Francia –, sembra meritoria di qualche approfondimento critico. 16. Cfr. IMbS-CeRquIglInI-toulet 1999 (lett. xxxIII e xxxV). 17. Sul canzoniere VeAg, di cui è in corso l’edizione a cura di Anna Alberni e Fabio Zinelli, cfr. l’ampio studio di AlbeRnI 2006 [2009]. Circa i rapporti con il Cardenois e la poesia di Machaut, cfr. ancora AlbeRnI 2010 e 2012. 18. Cfr. SPeRonI 1977. 19. Cfr. ZInellI 2012. 216 Cobles e lays, danses e bon saber Alcuni argomenti decisivi, dovuti ad Ana-María Valero de Holzbacher,20 e poi ripercorsi e approfonditi da Alberni e Zinelli, hanno confermato l’ipotesi di una prossimità dell’autore ad ambienti catalani. Nella descrizione del palazzo di Cardenois, all’inizio del romanzo, il narratore riferisce che nel giardino sono presenti dei tourongiers, ‘aranci’ (lemma offuscato, tra l’altro, dall’errata lettura di Cocco: courougiers),21 parola sconosciuta al francese, che è un chiaro prestito dal catalano torongier. Più avanti, parlando di Cardenois che, preso da pensieri d’amore, non riesce a prendere sonno, il narratore osserva:22 Et quant il fu temps de dormir, tenés pour vray que Alienor de Cervillon dormait mieux toute la nuit que ne faisait ledit prince. Circa l’identiicazione di questo personaggio, che il romanziere menziona come se si trattasse di persona ben nota ai suoi lettori, se Holzbacher ha proposto un’identiicazione con la moglie di Hug de Cervelló (già sposata nel 1338), una iglia di Ramon de Cardona, che si potrebbe avvicinare alla «Alienor de Cardone» protagonista dell’episodio barcellonese del Jehan de Saintré,23 Zinelli ha invece ricordato l’esistenza di una Alienor de Cervelló, iglia di Ramon Alemany e prossima alla regina Violant de Bar.24 È probabile, inoltre, che il nome stesso del protagonista rimandi alla famiglia comitale dei Cardona, che con la corona aragonese intrattenne strettissimi rapporti. Quanto alla circolazione del ms. Mn in ambienti catalani, entro la prima metà del sec. xV, va poi ricordato che i fascicoli inali del codice (ff. 75-100r) – copiati da altra mano ma verosimilmente aggiunti in anni prossimi alla sezione contenente il Cardenois (ff. 1-74) – contengono appunto una miscellanea di testi catalani.25 Dificile, forse impossibile, stabilire se il nostro manoscritto sia lo stesso «libre de Tardanoys» menzionato alla data del 16 dicembre 1400 in un memoriale 20. VAleRo de holZbACheR (1983-1984: 177-190). 21. In un contesto più ampio (ed. §2.10-11): «En ladite cort avoyt quatre fontaines de yaue vive et clere, qui toustemps courroyt l’yaue a grant afert, et estoyt la ditte cort paree et environnee de colonnes de jaspins. Et en ladite cort avoyt une grant porte qui entroyt en un vergier plein de tourongiers, et parmi ce vergier courroyt une grousse rivere, et en quatre cours du vergier en chascune y avoyt une belle fontaine et plusers autres arbres qui de leurs leurs gictoyent grans odours (…)». 22. Ed. §5.38. 23. VAleRo de holbACheR (1983-1984: 181-182). 24. Cfr. ZInellI (2012: 303), dove si cita un documento relativo alla cerimonia funebre di Violant, nel quale di ricorda che «foren aquí scampats grans crits, plors, lamentacions, e senglots per la nobla dona Alienor de Cervello, e per los domestichs, e servidors de la dita senyora reyna» (cfr. duRAn I SAnPeRe-SAnAbRe I SAnRoMà (1930-1947, I: 47-56): «Ordinació de la sepultura de la senyora reyna dona Yoland»). 25. Per la bibliograia sul ms. cfr. supra n. 3. La prima unità codicologica, copiata da un’unica mano (che chiameremo a) contiene soltanto il Roman de Cardenois. Nella seconda unità si trovano i seguenti testi: [ff. 75-91], (mano b): traduzione catalana del Trésor di Brunetto Latini (libro III, cap. 1-26); [ff. 92v-93r] (mano c): Aznar Pardo, O Deu, e quin sospirar; [ff. 93v-94] (mano c): Jordi de Sant Jordi, Pus que tan be sabetz de cambiar; [ff. 96-99v] (mano d): sette epistole anonime in prosa, di contenuto amoroso (studiate e pubblicate da SoRIAno-SAbAté 2008); [ff. 99v-100r] (mano d): componimento anonimo Amor de cor hafectuos. lAgoMARSInI, Poesia lirica nel romanzo in prosa 217 redatto per Martino l’Umano e destinato al iglio Martino I di Sicilia,26 ma questa menzione è fondamentale per veriicare l’effettiva circolazione del romanzo (se non del suo unico ms. ad oggi noto) anche presso i vertici della Corona. A proposito della possibile conoscenza del testo nel milieu di poeti catalani precedenti o contemporanei a Ausiàs March, è opportuno rilevare che il nome della dama amata da Cardenois, Passebeauté, un nom parlant attribuito alla fanciulla «pource que sa beauté n’estoit pareille a femme du monde»27 coincide con il sehnal della donna celebrata da Andreu Febrer nella canzone Lo fol desir («Passabeutatz»).28 E giova osservare che le due menzioni, nel Cardenois e in Febrer, si chiudono a triangolo sul motivo della «bellezza che passa ogni donna», caro, appunto, a Machaut: in vari luoghi della propria opera,29 Machaut canta la biauté qui toutes passe, di cui «Passebeauté»/«Passabeutatz» risulterebbe dunque l’incarnazione. È assodata, del resto, l’inluenza di Machaut su Andreu Febrer,30 e non è necessario sottolineare che, negli anni ’90 del sec. XIV, Febrer fu segretario di Violant de Bar e dovette condividere i gusti letterari francesizzanti della regina e del circolo poetico che orbitava intorno alla sua corte. A stabilire un’ulteriore connessione in questa rete di testi, inluenze, legami politici e personali, si ricorderà che Febrer fu anche in rapporto con i Cardona, elemento che – una volta accettata la proposta di collegamento Cardona-Cardenois, avanzata da Holzbacher31 – potrebbe chiudere il cerchio e farci supporre una conoscenza diretta del nostro romanzo da parte di Febrer. Vale la pena aggiungere che il motto fatto incidere da Cardenois sul proprio scudo,32 «Ma doulce ennemie» (ed. §20.2), è analogo all’appellativo scelto da Febrer per la dama cantata in Amors, qui tost fer, quant li play, vv. 158-60:33 «e si disia / dolç’anamia / crey que major vertat diria»; ma senza che si possa escludere una dipendenza diretta del romanzo dalla quinta balade di Machaut (vv. 15-16):34 «Mais le voloir de si douce anemie / vueil humblement et liement souffrir». L’ipotesi di una conoscenza del romanzo da parte di Febrer potrebbe essere corroborata dal fatto che il poeta catalano orbitò attorno 26. Sul memoriale si legge l’annotazione: «Item del libre de Tardanoys. Guillelmus Secretarius» (cfr. MoSCAtI 1954: 120-21). 27. Ed. §3.13. 28. Il rilievo, già di holZbACheR 1983-1984, è stato approfondito da AlbeRnI (2012: 80); cfr. inoltre MARFAny (2012: 259-87). Il testo di Lo fol desir si legge in RIqueR 1951, III: «Car la milhor de les milhors qui·s mir, / celha que·z yeu Passa-beutatz l’apelh» (vv. 12-13). 29. «Et sa biauté, qui toutes passe» (Remède, v. 303); «Qui de biauté toutes autres passoit» (Jugement du roy de Behaigne, v. 403); «Qui de biauté et douceur tout passe» (ibid., v. 1862). Cfr. CoCCo (1975: 34). 30. Cfr. PAgèS 1936, RIqueR 1951, CAbRé 1987, e ancora MARFAny 2012. 31. Un minimo ostacolo è posto dal fatto che, nel ms. Mn, il nome del protagonista, quando è scritto con la maiuscola (cfr. ad es. ff. 20v e 27r) e non sussistono dubbi circa la distinzione delle lettere c/t (spesso indistinguibili nella spezzatura della lettre bâtarde del copista), è «Tardenois». Ma è probabile che si tratti di un’errata lettura del copista: sulla questione cfr. ZInellI (2012: 300). 32. Su questo aspetto cfr. già VAleRo de holZbACheR (1983-1984: 189). 33. RIqueR 1951, xIV. 34. ChIChMAReF (1909, vol. 2: 540). 218 Cobles e lays, danses e bon saber alla corte di Alfonso il Magnanimo, negli stessi anni in cui essa era frequentata dal Marqués de Santillana, il quale, come risulta dai cataloghi, fu uno dei possessori del manoscritto Mn.35 I modelli per l’inserzione di poesia lirica nel romanzo sono facilmente individuabili nella tradizione letteraria francese.36 Innanzi tutto in quello che è riconosciuto come il capolavoro di Machaut, il Livre du Voir Dit (1363-1365), dove, nella cornice di un romanzo in distici di octosyllabes, si alternano la prosa delle epistole scambiate tra Guillaume e l’amata, insieme con le numerose liriche allegate alle lettere medesime. Ma, prima del Voir Dit, converrà tenere presente anche il vasto e inluente retroterra della tradizione duecentesca: tra i romanzi francesi in versi che prevedevano la possibilità sperimentale della commistione tra forme narrative e citazioni liriche, si può richiamare alla memoria il caso del Roman de la Rose di Jean Renart (ca. 1215-1228), primo esemplare (se si esclude Galeran de Bretagne, dove le interpolazioni liriche sono relativamente ridotte) di romanzo a citazione. Nel tessuto di una canonica narrazione in ottosillabi, Renart ha calettato gli estratti di ben tredici frammenti di canzoni antico-francesi e di tre cansos provenzali (in traduzione francese). Di poco successivo è il Roman de la Violette di Gerbert de Montreuil (12271229), dove sono citati numerosi refrains, alcune stanze di canzone e una lassa epica. Il Roman de la Poire di Thibaut, analogamente ai precedenti, interpola una ventina di refrains lirici. Ma siamo già intorno alla metà del xIII secolo, quando la fortuna dei grandi cicli arturiani in prosa inizia a scalzare la forma del romanzo ottosillabico. Non contengono interpolazioni versiicate i romanzi in prosa della triologia attribuita a Robert de Boron né i romanzi che costituiscono il ciclo del Lancelot-Graal. Va dunque riconosciuto al ciclo del Tristan en prose (1230-1235) il primato nell’impiego della forma mista:37 alle brevi devinettes versiicate inserite all’inizio del racconto, fanno seguito numerosi lais d’intonazione lirica (o lirico-narrativa), che la voce narrante riconosce come creazioni originali dei personaggi.38 Caratteristica notevole del Tristan en prose è anche l’occasionale presenza della notazione musicale che, in alcuni manoscritti, accompagna il testo dei lais, quasi sistematicamente costituiti da quartine monorime di octosyllabes (più raramente da couplets).39 Nel panorama delle prose arturiane è necessario menzionare, poi, il ciclo di Guiron le Courtois (1235-1240), che, analogamente al Tristan (evidente modello almeno del Meliadus, primo romanzo del ciclo guironiano), comprende numerose inserzioni, tra lais, epitafi, epistole tra cavalieri, segnaletica stradale 35. SChIFF (1905: 380-382), n. lIx. Cfr. inoltre AlbeRnI (2012: 87 n. 41), VAleRo (1983-1984: 189-190). 36. Per una panoramica cfr. almeno bARRy MCCAnn boulton 1994. 37. Cfr. FotICh-SteIneR 1974. 38. Sul lai arturiano cfr. spec. MAIllARd (1963: 85-92). 39. Cfr. MAIllARd (1969: 1347-1364). bACheR de holZ- lAgoMARSInI, Poesia lirica nel romanzo in prosa 219 ad uso dei cavalieri erranti, per un totale di circa 1200 versi.40 A questi modelli duecenteschi si andranno ad aggiungere poderosi romanzi come Ysaÿe le triste e il Roman de Perceforest, ma in entrambi il gioco delle inserzioni quasi sfugge di mano all’autore, che ingloba nella cornice romanzesca in prosa non semplicemente alcune liriche o isolati refrains, ma veri e propri micro-romanzi in versi, di estensione non banale. Tornando al nostro testo, vari elementi suggeriscono che l’autore del Cardenois tenesse appunto presenti, sia in modo consapevole sia, inconsciamente, come generiche suggestioni, anche i modelli arturiani in prosa. Prescindendo dalla forma mista, che, come abbiamo detto, potrebbe risentire direttamente dell’inluenza esercitata dal Voir Dit, è signiicativa la ricorrenza di vari motivi e situazioni narrative – in particolare le scene di duello, nonché le rappresentazioni di tornei e battaglie campali –, che rimandano piuttosto esplicitamente ai romanzi della materia di Bretagna. A questi riscontri di carattere generale e alle sparse citazioni onomastiche,41 credo che si possa aggiungere un parallelismo testuale più preciso: in uno dei molti momenti di crisi e disforia amorosa, Cardenois, trovandosi presso una fontana, esprime ad alta voce tutto il proprio sconforto, mentre due cavalieri spiano la scena da dietro un cespuglio. La scena del lamento spiato è ricorrente nei romanzi arturiani, ma un più ravvicinato esame testuale consente di stringere, in modo più netto, verso un episodio preciso: nella Suite Guiron, terza branche del ciclo di Guiron le Courtois, due cavalieri, anch’essi nascosti, ascoltano appunto un lamento amoroso del re Marco di Cornovaglia. Il planctus di Cardenois inizia con un’imprecazione contro il dio d’amore: «Amour, Amours! chose felonneuse et mauvaise», che ricorda l’analogo attacco di Marco: «Amor!, chose felleneusse et amere».42 Il lamento di Cardenois continua con un ritratto metaforico di Amore, tratteggiato come un soldato crudele, le cui armi inliggono duri affanni e tormenti agli amanti: Amour traïtre, voustre lance est Felonnie et voustre heaume est Dangier et voustre piesse (‘corazza’) est Courroux et voustre espee est Crueuté, dont vous ferés mains coups, que maint preudomme penrront la mort ; et vous esperonx son Traïson. Sullo stesso telaio retorico si muoveva re Marco nella Suite Guiron: Traïson est ta baniere, Felenie si est ton escu, Desloiauté est t’espee, Vergoigne e Honte est le tuen hiaume, Cohardie si est ton hauberc, Mort e Dolor si sunt ti grant cop. 40. Mi permetto di rinviare alla recente edizione che ho dato di questi testi: cfr. lAgoMARSInI 2015. 41. Ad esempio, il padre di Bruniffort è il duca di Endebour, nome che ricorda il duca d’Haudebourc menzionato nel Tristan. Il Chastel du Fort Pas (ed. §§23.7, 23.11, 25.15) richiama il Chastel du Trespas del mondo arturiano. A togliere ogni dubbio circa la conoscenza dei grandi romanzi bretoni, soccorre la menzione di Uterpendragon, padre di Artù, a proposito di un cavaliere del Cardenois «qui s’appelloit Erroyez et estoit du temps du roy Uterpandregon» (ed. §23.49). 42. Le citazioni corrispondono alla nostra ed. §§ 27.20 sg. Il brano della Suite Guiron si legge in MoRAto (2010: 272). 220 Cobles e lays, danses e bon saber L’archetipo di queste lamentazioni parallele si può individuare, molto probabilmente, nella descrizione dell’«Armatura di Dio» fornita da San Paolo nella sesta lettera agli Efesini: Propterea accipite armaturam Dei (…) State ergo succincti lumbos vestros in veritate et induti loricam iustitiae et calceati pedes in praeparatione evangelii pacis, inomnibus sumentes scutum idei, in quo possitis omnia tela Maligni ignea exstinguere; et galeam salutis assumite et gladium Spiritus (6 Eph. 13-17). E sarebbe ben dificile sostenere che la ricodiicazione sia avvenuta, indipendentemente nel Cardenois e nel Guiron, impiegando un attacco quasi coincidente e spostando la struttura metaforica da Dio al dio d’Amore, mentre è probabile che il nostro autore avesse una conoscenza diretta del romanzo francese. La frequentazione di questo genere di testi non contraddice, e anzi è pienamente compatibile, con un autore che abbia operato in quell’ambiente catalano nel quale stiamo veriicando in qual misura il Roman de Cardenois risulti collocabile. Dalle lettere dei sovrani catalani si ricava, in particolare, che Pere el Cerimoniós e Joan I furono lettori appassionati di romanzi arturiani in prosa e che nelle biblioteche catalane il ciclo di Guiron fu ben rappresentato:43 nel 1339 Pere fa comprare un «liber regis Meliadux» e nel 1346 fa copiare un Lancelot. Nel 1362 sempre Pere chiede «lo libre de Lançalot qui es escrit en català», mentre nel 1379 Joan I informa il visconte di Roda di aver prelevato da casa sua «.I. bell libre de Lançalot en frances». Poi, nel 1383, lo stesso Joan scrive alla moglie Violant de Bar per domandarle se è interessata a due libri in francese, di cui il primo «es del rey Meliadux e del bon caveller sene pahor, e de Gur[on] lo cortes, e de Donahi lo Ros ab d’altres cavallers molts; l’altre es de Tristany ystoriat». Quest’ultima citazione, tra l’altro, ci informa che del Guiron circolava in Catalogna la versione ciclica, dove Roman de Meliadus e Roman de Guiron si trovano saldati all’interno di vasti manoscritti. Una volta che si siano chiariti la isionomia del Cardenois, i suoi rapporti con gli ambienti catalani, l’incidenza del modello machautiano e la presenza di un retroterra francese arturiano, restano da esaminare due questioni rimaste in sospeso e tra loro intimamente legate. Come accennato sopra, Marcello Cocco aveva rinunciato a posizionare le liriche interpolate nel Cardenois all’interno dell’ampia tradizione manoscritta di Guillaume de Machaut. La questione non poteva giacere inevasa né essere retrocessa nel rango dei tecnicismi ilologici, tanto più che restava ancora da discutere e valutare, sulla base di più sicuri elementi, la proposta attributiva avanzata da Holzbacher, secondo la quale l’anonimo autore del Cardenois sarebbe da identiicare addirittura con Machaut.44 Si avrebbe insomma 43. Le citazioni che seguono sono tratte dai documenti stampati in RubIó I lluCh (1908-1921, II §§ CI: 117, e II §§ CxxVII: 135, CCIV-V: 201, CCCI: 278, CCCxlIV: 314). Circa la diffusione della letteratura d’intrattenimento in Catalogna nei secoli xIV-xV, cfr. CIngolAnI (1990-1991: 39-127). 44. Cfr. holZbACheR (1972 e 1982: 41-48, spec. a p. 47). Accoglie senza riserve questa attribuzione eSPAdAleR (2001, vol. I/2: 873-939, a p. 923). lAgoMARSInI, Poesia lirica nel romanzo in prosa 221 a che fare, secondo la studiosa, con un caso di auto-citazione, vale a dire con un romanzo in prosa in forma mista (analogo in questo aspetto al Voir Dit) nel quale Machaut avrebbe inserito alcune delle proprie liriche. Dal canzoniere al romanzo: una trasmissione testuale interessante – e più unica che rara, se non si vogliono stabilire paralleli con la Vita Nova di Dante –, che avrebbe dovuto comportare un immediato esame dei manoscritti di lirica. In modo anche solo impressionistico si possono sollevare, in merito a questa possibilità attributiva, alcuni dubbi di ordine stilistico: la prosa del Cardenois, talora pur vivace ma altrove tendenzialmente sciatta, ripetitiva, appiattita sulla paratassi, dificilmente potrà dirsi machautiana, soprattutto se messa a confronto con le eleganti tournures delle epistole interpolate nel Voir Dit. Inoltre, procedendo a una veriica dell’ipotesi attributiva machautiana, sarebbe necessario giustiicare una curiosa “amnesia” riguardante l’inserzione di un breve componimento lirico citato nel Cardenois (un testo corrotto nella copia Mn, e comunque non identiicato altrove e non rientrante nel corpus di Machaut):45 (…) Et Cardenois encomenssa a ferir d’esperons et a chanter une chansson que disoit: 2 6 De la plus […] au plus bel regart que oncques fu en ce monde nee me convint il aloigner l’encontree, la reveoir sera a moy trop tart, c’est pour savoir qui trop malement tart, de luy servir suy en dure penssee. Mantenant ne me souvient plus de la chansson. È soprattutto l’esame ilologico delle liriche inserite nel romanzo a sconsigliare l’ipotesi appena evocata. Approfondendo ed estendendo a tutte le liriche del Cardenois l’analisi stemmatica già abbozzata da Anna Alberni relativamente ad Amis se par ma foulie (testo che compare, in veste lievemente catalanizzata, anche nel canzoniere Vega-Aguiló: inc. Amis si pour ma folhia),46 ho tentato di identiicare o circoscrivere le fonti manoscritte a cui l’autore-interpolatore del romanzo ha avuto accesso. Rinviando per i dati di dettaglio a uno studio più esteso che ho prodotto in altra sede,47 è suficiente dire qui che la testimonianza indiretta del Cardenois si colloca nelle strette vicinanze di una ben precisa famiglia di recueils di Machaut: alcune innovazioni e probabili errori di trasmissione avvicinano infatti le liriche inserite nel romanzo a un ramo di tradizione facente capo al cosiddetto canzoniere Vogüé (ora Ferrell-Vogüé, siglato Vg),48 importante raccolta da cui dipendono i canzonieri B (Paris, BnF, fr. 1585), E (BnF, fr. 9221), Pa (“Penn Chansonnier”, 45. Cfr. ed. §14.83-85. 46. Cfr. AlbeRnI (2010: 328-336). 47. lAgoMARSInI 2012. 48. Già conservato a New York, Wildenstein Collection, [senza segnatura], ed attualmente entrato nella collezione Ferrell, ma in prestito alla Parker Library di Cambridge. 222 Cobles e lays, danses e bon saber Philadelphia, University of Pennsylvania Library, MS. Fr. 15), nonché, come ha ulteriormente precisato Zinelli, il canzoniere Vega-Aguiló, almeno per la sezione machautiana che apre la suite francese del codice.49 La “costellazione Vg”, diversamente da altre zone della tradizione di Machaut, sembra non aver goduto del controllo diretto dell’autore. Accettando quindi la suggestione attributiva di Holzbacher, si dovrebbe anche giustiicare il fatto che Machaut, vestiti i panni del romanziere, abbia prelevato le liriche non già dal proprio personale libro («le livre ou je met toutes mes choses», gelosamente custodito e al quale il poeta fa riferimento in varie occasioni)50 ma da un manoscritto contenente innovazioni e sviste dei copisti del ramo di Vg. E se anche volessimo accogliere questa ipotesi – perché Machaut, al momento della presunta stesura del romanzo, poteva anche non disporre dei propri cahiers di lavoro – resta problematico pensare che, in un caso, la presenza della notazione musicale nel manoscritto impiegato come antigrafo gli abbia fatto gravemente travisare la disposizione dei versi di una propria lirica – come appunto accade per Diex Biauté Douceur Nature, un virelai che, nel Cardenois, ha subito una serie di inversioni spiegabili sulla base della mise en page di un codice notato51 –, come pure dà qualche perplessità la isionomia della prima inserzione che si incontra nel romanzo, un curioso collage tra una balade e un lai (quest’ultimo con un’inversione di strofe): un monstrum d’avanguardia, insomma, che dificilmente sembra assegnabile alla penna del principale codiicatore delle formes ixes della lirica francese del Trecento. Una parte (ma solo una parte) degli accidenti che abbiamo rapidamente elencato potrà anche essere attribuita al processo di copia, ma nel complesso pare decisamente discutibile, se non deinitivamente scongiurabile, l’ipotesi che vorrebbe riconoscere in Machaut l’autore del Roman de Cardenois. La iliazione testuale ci riporta invece con forza proprio verso la Catalogna e ci spinge a esaminare attentamente la rete di circolazione libraria che coinvolse la Corona d’Aragona e i circoli di lettori (e poeti) a essa collegati. Tra i manoscritti della “costellazione Vg” di Machaut, è già noto che il canzoniere E appartenne a Jean de Berry, come dimostra senza ombra di dubbio la sottoscrizione che si legge sul frontespizio, siglata dal segretario Flamel. Il duca biblioilo, appunto, si inscrive a pieno nella rete di rapporti che stanno al centro del nostro discorso: non solo il duca di Berry fu zio di Violant, igura cardine, come abbiamo già sottolineato, per l’importazione e la promozione di cultura francese in Catalogna, ma ebbe anche legami diretti di committenza con Machaut. Ancora più importanti e decisivi sono i dati emersi relativamente al capostipite dei canzonieri machautiani cui il Cardenois si è rivelato più intimamente legato. Negli ultimi anni l’interesse per il canzoniere Vogüé ha avuto una signiicativa crescita,52 soprattutto dopo la presa di coscienza del ruolo chiave che esso ebbe per 49. ZInellI (2012: 313). 50. WIllIAMS (1969: 433-454). 51. Per la dimostrazione rimando ancora a lAgoMARSInI (2012: 120-122). 52. Cfr. eARP 2014. lAgoMARSInI, Poesia lirica nel romanzo in prosa 223 la circolazione dell’opera di Machaut in Catalogna e nella Francia del Sud: in una recente comunicazione, Lawrence Earp ha avanzato l’ipotesi che Vg sia appartenuto in origine al solito Jean de Berry, da cui passò poi in dono a Gaston Fébus, conte di Foix;53 da Fébus il manoscritto sarebbe stato poi prestato a Violant de Bar. I passaggi di mano tra Gaston Fébus e Violant erano già stati ricostruiti, nelle loro linee principali, da Anna Alberni,54 che era anche tornata a veriicare (in positivo) la possibilità che Vg fosse effettivamente il «libre apellat Mexaut» menzionato nell’inventario valenciano del 1417 di Alfonso il Magnanimo e che esso fosse dunque uno dei testimoni dell’opera machautiana che circolarono in Catalogna nei secoli xIV e xV. L’ipotesi di Earp è stata più recentemente confermata – nel suo passaggio più cruciale, ovvero l’originaria appartenenza al duca di Berry – da un documento inedito riportato alla luce da Anna Alberni e Stefano Cingolani, proprio nel corso delle ricerche i cui risultati sono raccolti in questo volume. Nel poscritto di una lettera inviata da Violant de Bar a Gaston Fébus nel 1388, la regina si riferisce a un libro di Machaut regalato a Fébus da Jean de Berry. Un manoscritto nel quale, con pochi dubbi, potremo riconoscere l’attuale canzoniere Vogüé:55 (…) Part açò, com hajam entès que vós havets un bon libre apellat Guillaume de Mexaut, lo qual vos donà nostre molt car oncle lo duc de Berrí, pregam-vos, car cosí, que·l nos tramettats encontinent. È in questo ambiente di lettura, così fortemente caratterizzato in direzione francesizzante, che siamo dunque autorizzati a collocare un prodotto per molti versi bizzarro – e, possiamo dire adesso, tutt’altro che banale – com’è appunto il Roman de Cardenois. Era necessario mettere insieme e far convergere competenze diverse, dalla linguistica alla critica del testo, dalla diplomatica alla codicologia, per precisare una giusta intuizione (di Holzbacher, in primis), circa la collocazione catalana del romanzo, che richiedeva però una contestualizzazione e veriiche puntuali, soprattutto intorno alla questione attributiva e alle linee di trasmissione che hanno condotto a incorporare una scelta di liriche machautiane all’interno di un feuilleton tardo-trecentesco di sapore cavalleresco e orientalistico. La ricomposizione delle varie tessere – momento che, di un’indagine scientiica, segna non già la conclusione ma un secondo inizio – è stata possibile nel contesto di un lavoro di squadra che si è giovato dell’apporto esterno di studiosi europei e statunitensi.56 Ed è signiicativo che proprio questo respiro internazionale e multidisciplinare degli studi abbia permesso di ricollocare nel proprio contesto, quello della 53. Faccio riferimento alla comunicazione “The Transmission of Machaut in the Midi and in the Crown of Aragon, 1389-1458”, che ha avuto luogo presso la Wisconsin-Madison University il 23 aprile 2013. Cfr. ora eARP 2014. 54. Cfr. AlbeRnI (2012: 107), e la comunicazione “Machaut’s Literary Legacy in the Crown of Aragon: the role of Chansonnier VeAg” presentata nella Machaut Conference The Works of Guillaume de Machaut: Music, Image, Text in the Middle Ages (University of Exeter, 29-30 April 2013). 55. Barcelona, Arxiu de la Corona d’Aragó, Cancelleria, reg. 2053, f. 84v. 56. Oltre ad Anna Di Fabrizio, Anna Alberni e Fabio Zinelli, voglio ricordare, tra gli altri, gli apporti di Jacqueline Cerquiglini-Toulet, Lawrence Earp, Stefano Cingolani, Claire Ponsich. 224 Cobles e lays, danses e bon saber diffusione di letteratura francese (e non solo occitana) oltre i Pirenei, un’opera inora non suficientemente valorizzata come il Roman de Cardenois. Bibliograia AlbeRnI, Anna, 2010. “Guillaume de Machaut en la tradició catalana dels segles xIVxV: la suite d’esparses del cançoner VeAg”, Translatar i transferir. La trasmissió dels textos i el saber (1200-1500). Actes del primer col·loqui internacional del grup NARPAN (Barcelona, 22-23 novembre 2007), A. Alberni, L. Badia, Ll. 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