n. 2
2019
n.s. XII, 2019, 2
15,00
LE FORME e LA STORIA
Rivista di Filologia Moderna
Dipartimento di Scienze Umanistiche
Università degli Studi di Catania
n.s. XII, 2019, 2
La Filologia romanza e i saperi umanistici
e altri saggi
a cura di
Antonio Pioletti e Arianna Punzi
2019
LE FORME e LA STORIA
Rivista di Filologia Moderna
Dipartimento di Scienze Umanistiche
Università degli Studi di Catania
© 2019 - Rubbettino Editore Srl
Rivista semestrale, n.s. XII, 2019, 2 - ISSN 1121-2276
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Sommario*
7 Antonio Pioletti - Arianna Punzi
Introduzione - La Filologia romanza e i saperi umanistici
Critica letteraria
17 Roberto Antonelli
Filologia romanza e saperi umanistici
31 Gian Mario Anselmi
Da Carducci e De Sanctis al presente della critica
Comparatistica
43 Luciano Formisano
Filologia romanza e comparatistica
53 Massimo Fusillo
Espansioni, irradiazioni, diffrazioni
57 Federico Condello
Comparativismo selvaggio e classical reception studies.
Appunti da un dibattito (per dibattiti a venire)
Teatro
73 Luigi Allegri - Giuseppe Noto
Storia del teatro (medievale) e filologia (romanza)
Filologia e filosofia
85 Maurizio Ferraris - Lino Leonardi
Fare la verità: filologia e filosofia (e tecnologia)
Filologia e storia
101 Alvaro Barbieri
Medievistica storica e medievistica letteraria:
le ragioni della storia negli studi romanzi
6
Sommario
Filologia e geografia
123 Eugenio Burgio
Sui rapporti tra Filologia (romanza) e Geografia
(appunti per un’approssimazione)
145 Franco Farinelli
La Geografia, la Filologia e il Furioso
Interventi
161 Antonio Pioletti
Comparativismo filologico, letteratura mondiale
e morfologia comparata
171 Massimo Bonafin
Categorie antropologiche e studi filologico-letterari:
un percorso critico (con l’esempio di Q478.1. The Eaten Heart)
185 Paolo Maninchedda
La filologia come critica del discorso e della libertà
Altri saggi
201 Sana M’selmi
L’animal, cette «inquiétante étrangité». Portraits de l’homme à
bout
237 Jumana Bayeh
Identity, Narrative and the Arab-American Diaspora
259 Gli autori
265 Norme redazionali per gli autori
* I contributi relativi alla Sezione tematica «La Filologia romanza e i saperi umanistici» sono stati preventivamente valutati da un Comitato scientifico costituito da:
Arianna Punzi, Lino Leonardi (tranne che per il suo), Salvatore Luongo, Alvaro Barbieri (tranne che per il suo), Gaetano Lalomia, Giuseppe Noto (tranne che per il suo)
e Luca Sacchi, nonché sottoposti a procedimento di valutazione single blind.
Così, quelli relativi alla Sezione «Altri saggi» a procedimento di valutazione single
blind.
Massimo Bonafin
Categorie antropologiche e studi filologico-letterari:
un percorso critico
(con l’esempio di Q478.1. The Eaten Heart)
Se grosso modo fino all’inizio del XXI secolo coniugare fin dal titolo filologia e antropologia sarebbe apparso sconveniente agli occhiuti
difensori delle barriere disciplinari e alle gelose vestali della specificità
inconsutile, tanto agli ecdotici senza se e senza ma quanto ai funzionalisti irriducibili, oggi si può dire che non è più così.
Tutti i tempi vengono, ma è paradossale che questo incontro abbia
tardato tanto a venire, perché, a pensarci bene, avrebbe dovuto essere nelle cose da sempre ed è stato in effetti sfiorato più volte, soprattutto nel secolo XIX1, cioè quando filologia e antropologia erano ancora in una fase espansiva, di crescita e di sviluppo impetuoso e i loro
cultori non si sottraevano al dialogo epistemologico, per tema di perdere qualche nicchia di potere, né si chiamavano fuori dall’impegno civile e sociale 2.
1 «Le esplorazioni e l’espansione politica europee avevano fatto conoscere l’esistenza dei vari popoli della terra e i tratti generali delle loro culture. I progressi degli
studi di preistoria, di geologia, di paleontologia, di craniometria, di filologia, delle mitologie e della teoria evoluzionista dimostravano la necessità di una disciplina che integrasse i rispettivi dati e desse loro significato inserendoli in una teoria generale e
comparativa dello sviluppo umano» (F.W. Voget, Antropologia ed etnologia, in Enciclopedia delle scienze sociali [1991]: http://www.treccani.it/enciclopedia/antropologiaed-etnologia_ (Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/ - ultimo accesso 29-5-2019).
2 Mi piace citare per la sua vivida esemplarità “Les crimes allemands d’après des témoignages allemandes”. Joseph Bédier contro l’esercito tedesco, regia e testo di Stefano
Rapisarda, Imago Movies, Catania 2008 (DVD); dello stesso autore si può leggere
anche S. Rapisarda, La Filologia al servizio delle Nazioni, Bruno Mondadori, MilanoTorino 2018.
«Le forme e la storia» n.s. XII, 2019, 2, pp. 171-84
172
Massimo Bonafin
Intendo in questa occasione continuare qualche riflessione già esposta in una sessione del XXVIII congresso internazionale di linguistica e
filologia romanza, nel 2016, i cui atti sono stati da poco pubblicati 3.
La filologia testuale e le scienze umane era l’argomento di un importante convegno internazionale dell’Accademia dei Lincei (svoltosi nel
1993 e i cui atti apparvero l’anno seguente), dal quale estraggo giusto
un paio di citazioni che mi sembrano spie di un interesse crescente per
il dialogo fra questi diversi saperi umanistici, a cui è dedicato l’attuale
convegno della S.I.F.R.
Nell’intervento d’apertura su La filologia all’Accademia dei Lincei,
Vittore Branca segnalava il pericolo di un divorzio fra filologia e critica, proprio mentre «certi metodi critici più à la page, fino a quelli antropologici, devono di necessità ricorrere ad elementi testuali non fissabili e verificabili se non con la filologia»4. Poco più avanti lo stesso
Branca sottolineava il contributo indispensabile dell’interpretazione
culturale per la critica del testo medesima: «L’ermeneutica e l’indagine
culturale hanno così permesso esiti che alla pura e tradizionale ecdotica
sarebbero stati impossibili»5.
Ma è nell’intervento di Ezio Raimondi su Filologia e critica che si
leggono più esplicite e insistenti affermazioni in questo senso. È una
panoramica di grandi maestri per i quali non c’era dubbio che la filologia fosse una scienza della cultura: da E.R. Curtius, che «assegnava alla
filologia il compito di costruire una nuova forma di storicismo morfologico e strutturalistico»6, a G. Gröber che per Curtius rappresentava
«il filologo che aveva rivendicato la natura conoscitiva della filologia,
intesa quale disciplina dotata di un elemento teorico»7; trascorrendo a
L. Spitzer e E. Auerbach, Raimondi annota che «l’analisi diretta del testo più viene approfondita dall’interno e più comporta delle relazioni
3 Cfr. M. Bonafin, Dalla filologia all’antropologia del testo, in R. Antonelli, M.
Glessgen, P. Videsott (ed.), Atti del XXVIII Congresso internazionale di linguistica e filologia romanza (Roma, 18-23 luglio 2016), volume 2, Société de Linguistique Romane / Éditions de linguistique et de philologie, Strasbourg 2018, pp. 1592-603.
4 V. Branca, La filologia all’Accademia dei Lincei, in La filologia testuale e le scienze
umane, Accademia dei Lincei, Roma 1994, p. 9.
5 Ivi, p. 15.
6 E. Raimondi, Filologia e critica, in La filologia testuale e le scienze umane, Accademia dei Lincei, Roma 1994, p. 20.
7 Ibidem. Per Curtius «la filologia era la cultura del testo, ove costruisce i grandi
contesti che lo comprendono e in qualche modo vi sono compresi», ivi, p. 21.
Categorie antropologiche e studi filologico-letterari: un percorso critico
173
generali magari attraverso un dizionario della cultura»8. Campione di
una filologia «che è a un tempo fedele a se stessa e fornisce strumenti
per interpretare i fenomeni umani, innanzitutto consegnati ai testi antichi, ma subito percepiti anche come problemi del mondo moderno»9
è H. Usener, per il quale la filologia non poteva limitarsi all’edizione
dei testi, ma doveva farsi «interpretazione dei sistemi immaginativi che
vanno al di là dei testi»10. Invece, «quanto più la tecnica filologica si
approfondiva […] tanto più tendeva a dimenticare […] il problema
della critica come capacità filologica di interpretare, come tecnica adeguata a dare luce al testo, a dare interpretabilità e significato al testo in
quanto fatto»11.
Venendo ad anni e orizzonti più recenti, Raimondi recupera e valorizza i contributi di autori in cui l’incontro con le scienze dell’uomo
è viepiù esplicito e tematizzato: da D.S. Lichačev, nella cui testologia
(scil. filologia) «un fatto testuale non può essere usato se non viene capito, se non viene interpretato» con un movimento in tante direzioni12; a M.M. Bachtin in cui «il testo e la filologia vengono posti a fondamento di una nuova teoria della cultura» che integra e oltrepassa il
senso della tradizione à la Curtius, per includere nel tempo grande le
profonde correnti del folklore e dell’immaginario archetipico; fino a
un antropologo come Clifford Geertz, che recupera la filologia «per
proporre un’antropologia dei testi, una teoria della cultura relativa ai
simboli creati dagli stessi esseri umani»13.
Voglio provvisoriamente concludere questa galleria degli antenati,
questa carrellata di auctoritates che depongono a favore dell’indissolubilità del connubio fra filologia ed ermeneutica antropologica, con uno
studioso meno citato alle nostre latitudini, vale a dire Károly Kerényi.
Introducendo la prima parte del suo carteggio con Thomas Mann, lo
storico delle religioni ungherese prende le distanze dall’impersonalità
della filologia, che tende a occultare l’impegno del soggetto interpretante dietro la cortina del tecnicismo professionale.
Con ciò non si vogliono negare il valore e la necessità del lavoro-base,
della produzione artigiana del filologo. Salvo che il grande compito della
18
19
10
11
12
13
Ivi, p. 23.
Ivi, p. 24.
Ibidem.
Ibidem.
Ivi, p. 29.
Ivi, p. 31.
174
Massimo Bonafin
filologia classica, la comprensione dell’antichità, non consiste soltanto nel
mestiere che si impara più facilmente di quanto forse non credano quelli
che stanno al di fuori e gli stessi scolari principianti…14
Il compito principale del filologo (lo si fa notare qui in generale) – sia che
egli si trovi di fronte ai testi oppure, nello stesso tempo, anche a un tessuto spirituale che non si esaurisce mai interamente nei testi, a un mitologema espresso anche mediante monumenti – consiste ancora nell’interpretazione15.
A proposito dei metodi della filologia e del loro senso recondito,
Kerényi aggiunge ancora in una lettera del 1945:
Nella storia della nostra scienza si sono alternati periodi estensivi e periodi intensivi. Lo stesso avviene nella nostra vita di studiosi. Finché cerchiamo e raccogliamo siamo estensivi e il nostro ideale è la completezza, che è
irraggiungibile. Non appena troviamo davvero qualcosa siamo interiormente costretti a diventare intensivi. E siccome i metodi che si possono
imparare con facilità sono quelli estensivi, dobbiamo inventare i non meno scientifici metodi dell’intensità16.
Per essere più chiaro sui modelli e sulle implicazioni di questa divaricazione metodologica, egli prende a esempio il grande U. von Wilamowitz-Moellendorf, che sapeva fare, ahimè, magistralmente proprio questo: «uccidere l’intensità con l’estensività, distrarre l’attenzione dal senso dei testi ammucchiando materiali inanimati»17. Un modello, sia permesso di aggiungere (anche facendo la tara alla vis polemica di Kerényi), che ha sempre molti imitatori, soprattutto in tempi in
cui la ricerca umanistica e il pensiero critico faticano ad affermarsi nelle istituzioni.
Proverò adesso a esemplificare il modo in cui si possono e debbono
intersecare i percorsi degli studi filologico-letterari con le categorie
dell’antropologia culturale.
Un motivo e un intreccio molto conosciuti ai medievisti sono
quelli della storia del marito che dà da mangiare alla moglie adultera il
cuore dell’amante ucciso; e insisterei sul fatto che è una storia da considerare nel suo intreccio basico in cui è inserito il motivo del cuore man14
15
16
17
Kerényi, in K. Kerényi, T. Mann, Dialogo, il Saggiatore, Milano 1973, p. 16.
Ivi, p. 17.
Ivi, p. 87.
Ivi, p. 88.
Categorie antropologiche e studi filologico-letterari: un percorso critico
175
giato, vale a dire un racconto, un programma narrativo, di cui l’elemento del pasto cannibalico è una componente fra altre, anche se la
più perturbante. I testi che ne offrono l’evidenza sono quasi tutti noti e
studiati: li rammento perciò rapidamente, avvalendomi anche dei contributi principali in materia18. In un ordine cronologico approssimativo essi sono: il Lai Guirun citato nel Tristan di Thomas, il Lai d’Ignaure, la Vida del trovatore Guilhem de Cabestanh, il Romanzo del Castellano di Coucy e della dama di Fayel, compresa la sua prosificazione
quattrocentesca, per l’area del Medioevo galloromanzo (meridionale e
settentrionale)19; il racconto LXII del Novellino e la novella trentanovesima (IV, 9) del Decameron, a cui si aggiunge di solito il sogno allegorico narrato da Dante nel terzo capitolo della Vita Nuova (ma sulle escursioni liriche del motivo nutro qualche riserva), per l’area italiana medievale 20; anche se il censimento non è completo (andrebbero
18 Dopo i primi studi a cavaliere fra XIX e XX secolo, è soprattutto nell’ultimo
quarto del XX secolo che la ricerca critica su questa galassia testuale si è infittita: dalla
tesi, peraltro non entrata nel dibattito critico, di A.M. Costanza Czech, La légende du
cœur mangé dans les littératures française et italienne du XII e au XIV e siècle, Departments of French & Italian Language and Literature Master of Arts, McGill University 1974, all’approfondito saggio di L. Rossi, Il cuore mistico pasto d’amore: dal Lai
Guirun al Decameron, in Studi provenzali e francesi 82 (Romanica Vulgaria / Quaderni 6), Japadre, L’Aquila 1983, pp. 28-128, e quindi ai contributi di J-J. Vincensini, Figure de l’imaginaire et figure du discours. Le motif du “Cœur Mangé” dans la narration médiévale, in Le « cuer » au Moyen Âge. Réalité et Senefiance, Presses universitaires de Provence, Aix-en-Provence 1991, pp. 439-59 (in linea: https://books.openedition.org/pup/3128, da cui si cita senza numerazione di pagine), M. Di Maio, Il cuore
mangiato. Storia di un tema letterario dal Medioevo all’Ottocento, Guerini e Associati,
Milano 1996 (ora anche in francese Le cœur mangé, PUPS, Paris 2005), fino a R. Trachsler, Les voyages du cœur mangé. Du ragoût au ragot, che ho ascoltato dal vivo (Colloque organisé par la Società italiana di Filologia romanza, la Société de langues et littératures médiévales d’oc et d’oïl et la Société de Linguistique romane: Transferts culturels franco-italiens au Moyen Âge // Transferts culturali italo-francesi nel contesto medievale europeo, Paris 20-22 septembre 2018) e che ringrazio per avermi gentilmente
messo a disposizione la redazione scritta.
19 Allarga lo studio del motivo ai testi epici F. Denis, Coeur arraché / Coeur mangé: modulations, in «Études littéraires» 31, 1, 1998, pp. 95-108 (in linea: https://
id.erudit.org/iderudit/501226ar), ma, come si evince dal titolo, apparentando il ‘cuore mangiato’ ad altri esempi di ‘cuore strappato’ sottrae il motivo all’intreccio in cui è
collocato e che gli dà senso.
20 A complemento dei lavori citati cfr. L. Terrusi, Ancora sul “cuore mangiato”.
Riflessioni su Decameron IV 9, con una postilla doniana, in «La parola del testo» 1,
1998, pp. 49-62, e F. Petricca, Ghismonda e Beatrice. Il cuore mangiato e l’idea dell’amore tra Boccaccio e la Vita Nuova, in «Critica del testo» 16/3, 2013, pp. 131-61.
176
Massimo Bonafin
aggiunte almeno un paio di occorrenze in area germanica) e non sempre identico negli studi 21, il grosso delle testimonianze medievali europee è ben delimitato attorno alle principali testualizzazioni francesi e
italiane 22.
Già così, senza cioè avventurarsi, come pure è stato fatto 23, nelle ripercussioni, soprattutto francesi, cinque-sei-settecentesche, per arrivare
all’Ottocento, al melodramma, a Stendhal – quindi al Medioevo recuperato anche nelle sue fonti – riesce dunque evidente la rete intertestuale che veicola, riplasma, adatta, trasforma l’intreccio fondamentale.
Un capitolo di riuso e ricezione letteraria, ovvero una storia di ordinaria intertestualità diacronica. Il corpus è stato allargato poi anche a testimonianze orientali, ma sempre indeuropee, il che permetteva agli
studiosi di ipotizzare non semplicemente un’origine prossima celtica,
ma un’origine indiana remota24.
Ma le domande che suscita restano inevase: perché appare e riappare nelle narrazioni e da dove viene questa storia, con questo motivo
così perturbante? Anche se non si tratta di domande identiche o intercambiabili, si può immaginare che le risposte siano collegate fra di loro. La risposta alla domanda sull’origine, oltre che sulla provenienza,
aiuterebbe anche a capire perché la storia del cuore mangiato ha continuato a essere narrata e reinventata. Dalla ricerca dei tramiti accertabili
e diffusi per via orizzontale, in uno spazio geografico ampio quanto si
vuole ma percorribile una tappa dopo l’altra, alla ricerca su larga scala,
scala di profondità cronologiche e di connessioni culturali inattese e
sconfinate, nel senso proprio di superamento di confini linguistici,
areali, storici, etnici: questo vuol dire passare dall’intertestualità alla
comparatistica e all’antropologia.
21 Per il regesto e una prima analisi comparativa del corpus, cfr. gli studi citati alla nota 18, nonché I. de Riquer, El corazón devorado. una leyenda desde el siglo XII hasta nuestras días, Siruela, Madrid 2007 (di cui ho notizia, ma che non ho potuto consultare).
22 Non a caso la tesi di A.M. Costanza Czech si limitava a considerare Lai Guirun, Ignaure, vida di Guilhem de Cabestanh, planh In morte di Blacatz, Novellino, Decameron, Romanzo del Castellano di Coucy.
23 Nel libro di M. Di Maio, che è prevalentemente incentrato sulla Nachwirkung
del motivo in età moderna.
24 Ottima la messa a punto, su questi aspetti anche di metodo, fornita da Vincensini, Figure de l’imaginaire, cit. del quale si veda anche il successivo e panoramico
Motifs et thèmes du récit médiéval, Nathan, Paris 2000 (spec. pp. 89ss e pp. 157ss).
Categorie antropologiche e studi filologico-letterari: un percorso critico
177
Se prendiamo il repertorio dei motivi diretto e organizzato da Stith
Thompson25, il motivo «l’adultera obbligata a mangiare il cuore dell’amante» è identificato col numero Q 478.1 e registra una ventina di
riferimenti 26: fra quelli più esotici, cioè fuori dal campo già investigato
finora, c’è un gruppo di storie molto popolari fra le tribù degli indiani
delle Pianure, nell’America settentrionale, imperniate sui rapporti sessuali clandestini fra una donna e alcune specie animali. Eccone una27:
Un marito, avendo scoperto che la moglie si è allontanata dall’accampamento per commettere adulterio con un serpente, uccide l’animale e punisce la moglie. In certe versioni fa mangiare alla moglie, senza che questa
ne sia consapevole, il serpente o i genitali del serpente.
Thompson annota da esperto conoscitore di quel folklore che nella
maggior parte delle versioni della costa settentrionale del Pacifico, alla
donna «che ha commesso adulterio col serpente viene dato da mangiare, senza che essa lo sappia, una parte dell’amante ucciso»28. Lasciamo
volutamente da canto le implicazioni totemistiche di questa variante
dell’intreccio e del motivo.
L’allargamento del compasso della comparazione getta comunque
una luce nuova sulle attestazioni europee occidentali e medievali; rivelandoci la natura universale del motivo 29, ne opera una ristrutturazione
semantica:
Ce corpus roman, français, occitan, italien et germanique, constitue un
réseau qui repose sur une vision commune de l’amour, une vision qui est
le reflet de la courtoisie qui sous-tend, à différents degrés, tous les textes
contenant le motif. Il s’y mêle désir, jalousie et mort. Mais l’existence du
petit corpus extra-occidental nous permet de comprendre que le motif a
aussi un «sens» plus universel, détaché d’un contexte socio-historique spécifique. Dans l’ensemble du corpus, il s’agit de punir une transgression
sexuelle en infligeant une mort violente à l’amant et en obligeant l’amante
25 Motif-index of folk-literature: a classification of narrative elements in folktales, ballads, myths, fables, mediaeval romances, exempla, fabliaux, jest-books, and local legends.
Revised and enlarged edition, Indiana University Press, Bloomington 1955-1958.
26 Q478.1. The Eaten Heart. Adulteress is caused unwittingly to eat her lover’s
heart. (Sometimes other parts of his body).
27 Se non erro, Vincensini, Figure de l’imaginaire, cit., non considera questo esempio, il cui testo traggo dalla monografia di S. Thompson, La fiaba nella tradizione popolare, il Saggiatore, Milano 1979 (ed. orig. 1946).
28 Thompson, La fiaba, cit., p. 491.
29 Già sottolineata da Vincensini, Figure de l’imaginaire, cit.
178
Massimo Bonafin
à manger, à son insu, le cœur de l’être aimé. La dernière étape consiste en
la révélation de la nature du mets. Il s’agit d’un «repas cannibale vengeant
une offense sexuelle». Il y a donc un scénario, à la fois contraint et contraignant, et c’est toujours le même 30.
In particolare, la testimonianza recata da Thompson invita a leggere
la ‘cardiofagia’ piuttosto come una caratteristica distintiva della tradizione dei racconti europei 31, nei quali il cuore rappresenterebbe una sorta
di sublimazione simbolica, conforme alla tradizione erotica cavalleresca,
della vivanda primitiva somministrata nella punizione dell’adultera32.
Secondariamente, l’ampliamento e la varietà delle testimonianze
suggerisce di categorizzare la storia in questione come un intreccio, un
plesso narrativo articolato, con una pluralità di attanti e di predicati,
piuttosto che come un motivo che enfatizza un elemento soltanto 33;
inoltre ancora la ricchezza e molteplicità di attestazioni induce a preferire un approccio delicato e flessibile nella classificazione, un approccio
politetico, come si dice nelle scienze umane, che non lasci fuori per
principio nessuno dei tratti che possono identificare nel complesso il
nucleo narrativo, senza pretendere che qualcuno di essi sia da solo necessario e sufficiente per riconoscerlo a esclusione di altri 34.
Cfr. Trachsler, Les voyages du cœur mangé, cit.
Tutt’al più indeuropei: cfr. Vincensini, Figure de l’imaginaire, cit.: «Le fait de
manger le cœur de l’amant supplicié semble donc être un trait propre à la narration
indo-européenne».
32 Si pensi al conseguente viraggio interpretativo per testi come il Lai d’Ignaure,
la cui parodia dell’amor cortese (il sesso dell’amante servito come cibo insieme al cuore) riattiva sans le savoir (?) quello che sembra l’ingrediente originario del pasto cannibalico. «D’autre part, le cœur apparaît dans de nombreux récits comme le métaphore
des organes génitaux» (Vincensini Figure de l’imaginaire, cit.).
33 Già notava Vincensini (Figure de l’imaginaire, cit.) che «ce n’est pas l’ingestion
de chair humaine qui constitue en soi la figuration spécifique du motif», ma «“l’amour
coupable” et “la vengeance féroce” constituent le “sujet”, on dirait également le
“thème”, de ce motif». Sul rilievo di questa dimensione narrativa, oltrepassante l’abbagliante tabù del pasto cannibalico, ritornerò alla fine di questo intervento.
34 Ho affrontato altrove questi problemi di tassonomia nelle scienze letterarie:
cfr. M. Bonafin, Alcune implicazioni tassonomiche dello studio di un motivo etnoletterario, in «L’immagine riflessa», n.s. 20, 2011, pp. 33-54, e Id., Somiglianze e differenze
nella comparazione, in corso di stampa negli atti del Colloque organisé par la Società
italiana di Filologia romanza, la Société de langues et littératures médiévales d’oc et
d’oïl et la Société de Linguistique romane: Transferts culturels franco-italiens au Moyen
Âge // Transferts culturali italo-francesi nel contesto medievale europeo (Paris 20-22 septembre 2018).
30
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Categorie antropologiche e studi filologico-letterari: un percorso critico
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È pur vero che da un punto di vista semantico-strutturale il motivo
che sta alla base del nostro intreccio può essere definito come «vendetta cannibale di una perturbazione matrimoniale» o «pasto cannibalico
vendicatore»35, perché in questo modo si riesce a mettere in evidenza la
capacità del racconto di inscenare l’infrazione di tre tabù culturali, vale a dire la regolazione matrimoniale (l’adulterio iniziale), il delitto di
sangue (la vendetta del marito sull’amante) e il consumo di carne umana (la vendetta del marito sulla moglie); ma resta aperta l’interrogazione sul senso della narrazione, tanto del modello archetipico, soggiacente a tutte le epifanie del motivo e “inconsciamente” esplicativo
delle sue risorgenze, quanto delle sue concrete e differenti realizzazioni
storiche.
Cominciamo dall’aspetto per dir così gastronomico: quasi tutte le
varianti letterarie della storia culminano nel pasto cannibalico 36, cioè
nella rappresentazione della trasgressione di un interdetto (quello relativo all’antropofagia) che è spesso usata per enfatizzare una differenza, una soglia morale e umana (civilizzati/selvaggi). Nella maggioranza
dei testi, poi, il personaggio femminile ha un ruolo positivo, in cui il
lettore si può immedesimare: è la vittima dell’inganno che la costringe all’antropofagia, a oltrepassare la soglia del consorzio civile e umano, quindi la destina alla morte. Mentre il marito (e talvolta assassino
in prima persona) funge da polarità negativa, anti-empatica per così
dire. Questo tratto, la raffigurazione del triangolo amoroso e la posizione della donna, andrà indubbiamente messo in conto all’universo
‘cortese’ di riferimento di quasi tutti i testi, nonché al senso esemplare
35 Sono i risultati a cui approda Vincensini (Figure de l’imaginaire, cit. e poi Id.,
Motifs et thèmes, cit., p. 89), al quale si deve il miglior tentativo di inquadrare il motivo secondo una logica ‘aristotelica’ mitigata, cioè in base a criteri necessari e sufficienti, ma in grado di dar conto anche del suo spessore antropologico latente e archetipico.
36 In quella escussa da Trachsler, Les voyages du cœur mangé, cit. (Le Livre du chevalier de La Tour Landry pour l’enseignement de ses filles, un testo didattico del XIV secolo) tutto si riduce a parole udite e rivelate, al sentito dire, o, come oggi diremmo,
all’orrore di una ‘leggenda metropolitana’ o fake news; l’accostamento con questa tipologia di racconti è al centro anche dell’analisi, svolta da A. Corbellari, Des fabliaux
et des hommes, Droz, Genève 2015, chap. II, pp. 23-36, di un’altra testimonianza moderna del motivo, in Léon Bloy. Un indizio di questo particolare riuso folk del motivo
già nel XVIII secolo è documentato da D. Blamires, An English Chapbook Version of
“The Eaten Heart” Story, in «Folklore» 104, 1993, pp. 99-104 (cfr. anche J. Simpson,
The Eaten Heart as Contemporary Legend, in «Folklore» 106, 1995, p. 100).
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spesso, se non sempre, attribuito alla narrazione, i cui forti sottotesti
antropologici la predispongono a essere riattivata per il suo implicito
valore paradigmatico 37.
Sotto il profilo strettamente antropologico, andrebbe notato che la
vivanda amorosa viene somministrata all’adultera, se non erro, sempre
sotto forma di manicaretto, cioè previa cottura, insaporimento e mescolamento con altri cibi: insomma cotta (quindi ‘civilizzata’), non
cruda (selvaggia), a differenziare questa particolare antropofagia dall’omofagia rituale, che è il mangiar crude le vittime dei sacrifici 38.
Il tratto del cannibalismo in sé potrebbe infine suscitare un supplemento di interesse per questa tematica, a livello storico ed etnografico 39, e invitare altresì a porre la questione cruciale: quella del rapporto
della letteratura con la realtà, ovvero il problema della rappresentazione; sia nel senso primario di riflettere sul fatto che … nihil est in litteris
quod prius non fuerit in rebus, sia nel senso dei limiti della rappresentazione 40, cioè di ciò che, nei diversi periodi e nelle diverse civiltà, è ritenuto dicibile o raffigurabile nelle opere di invenzione, e quindi del relativo valore più o meno trasgressivo di certi contenuti.
Insomma, se la densità e le sollecitazioni antropologiche della letteratura medievale non sono in discussione, posto solo che si allarghi
l’orizzonte comparativo a un congruo numero di testi, uniti da somiglianze di famiglia che travalicano la lingua, lo spazio e il tempo, il caso dell’intreccio del cosiddetto cuore mangiato illustra, a mio vedere,
anche un altro possibile percorso che critica filologico-letteraria e antropologia possono fare insieme.
In fondo, a pensarci bene, le varianti del racconto che abbiamo preso a esempio non sono radicalmente diverse dalle varianti di un mito;
tranne che per l’assenza di personaggi divini, la sottostruttura semantiCfr. anche Denis, Cœur arraché, cit., p. 106.
Se si percorre la via dell’interpretazione antropologica non si potrà sottacere
anche il piano simbolico, che fa della consumazione di una parte speciale del corpo,
per esempio dell’avversario ucciso, un modo magico di assimilarne la potenza o altra
qualità che si ritiene depositata in quella parte (cuore, fegato, ecc.). Questo aspetto allontana però dalla semantica specifica di questo intreccio e si riallaccia piuttosto a
esempi guerrieri ed epici, come quelli studiati da Denis, Cœur arraché, cit.
39 Penso implicitamente anche a un uso didattico di questa ricerca su Q478.1.
40 Tema che è stato tra l’altro al centro di un recentissimo convegno interdisciplinare: Sulle soglie dell’irrappresentabile: eccesso e tabù tra letteratura, cinema e media
(Collegio Ghislieri - IUSS Pavia, 9-10 maggio 2019).
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ca che vi si può individuare interpella e tematizza contenuti culturali
fondativi, originari, essenziali della società umana, alle sue diverse latitudini 41. E lo fa ‘miticamente’, cioè ricorrendo alla narrazione di una
storia, in cui prescrizioni, condotte e interdetti sono incarnati in pochi
personaggi, che agiscono in un tempo e uno spazio riconoscibile.
La forma narrativa si rivela indispensabile per la rappresentazione e
l’illustrazione di significati e messaggi che altrimenti potrebbero riuscire indicibili e incomunicabili.
Fondamentalmente mito e racconto non sono altro che due versanti, antropologico e letterario, dello stesso gesto di organizzare, in
forma testuale, la realtà, di ridurre il caos in cosmo, per usare le parole
di Meletinskij 42:
nella mitologia la descrizione stessa del mondo è possibile solo in forma
di narrazione sulla formazione degli elementi di questo mondo e persino
del mondo in generale. […] Avendo il compito della conquista pratica
del mondo, l’uomo a livello teorico lo organizza […] in forma di racconto sulla sua origine e, nello stesso tempo, in modo che siano assicurate
con esso relazioni armoniche.
Secondo molti studiosi 43, l’agire umano narrato, gli schemi narrativi, si possono considerare il fondamento antropologico della testualizzazione, che si manifesta attraverso ‘testoidi’, macrostrutture, programmi testuali, ‘percorsi tematici’, strutture mentali costruite sulla base
dell’esperienza di vita44. La narrativa sarebbe dunque l’origine della testualità, intesa come messa in forma, come architettura capace di replicarsi, in grado di trattare i momenti di passaggio fondamentali e la posizione o le relazioni reciproche di uomini e gruppi, di articolare semioticamente e strutturare in modo descrittivo, narrativo o argomentativo i problemi essenziali della vita di una comunità45. I due grandi
archetipi rituali, l’iniziazione alla società adulta (con il modello del
passaggio da uno stato a un altro) e la successione dei re (con il modello del conflitto fra ordine e disordine), archetipi da radicare rispettivamente nel paleolitico (società di cacciatori) e nel neolitico (società di
Cfr. anche Vincensini, Motifs et thèmes, cit., pp. 158-59.
E.M. Meletinskij, Archetipi letterari, ed. italiana a cura di M. Bonafin, EUM,
Macerata 2016, pp. 13-14, (ed. orig. 1994).
43 Cfr. p. es. il recente volume di M. Metzeltin & M. Thir, Textanthropologie,
Praesens Verlag, Wien 2012.
44 Ivi, p. 18.
45 Ivi, p. 28.
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agricoltori), sarebbero alla base della modalità narrativa che si è poi
evoluta e diversificata in una varietà di tipologie testuali.
Come si capisce, si tratta di un complesso di questioni e problemi
troppo ampio per essere anche solo riassunto in questa sede; perciò mi
limito a sottolinearne un aspetto, che emerge con sempre maggior frequenza dalle ricerche recenti, cioè la riflessione sul narrare come istinto
primordiale, come modo specifico attraverso cui la mente apprende,
ordina e conferisce senso al mondo.
Narrare è «capacità di ricondurre l’estraneo al familiare, di porre
l’evento al passato, di ritualizzarlo, di inserirlo in un ordine di eventi,
di condividere le emozioni»46. La narrazione – pensiamo al mito – modellizza il canone di una cultura, riproponendone valori e paradigmi di
comportamento; essa può nondimeno – pensiamo al rito e alla sua fase
liminale 47 – far intravedere delle possibilità, delle alternative, giocare
con le regole della società. Inoltre, lo accenno en passant, narrare storie
implica da parte dei narratori e degli ascoltatori la disposizione a credere, senza la quale le storie restano inefficaci 48.
Insomma, se narrare è una forma primaria della conoscenza, una
predisposizione ereditaria, che precede e condiziona l’appropriazione
linguistica della realtà, come suggeriscono gli studi di Jerome Bruner 49,
anche la relazione fra mitologia e letteratura non può più essere impostata nel senso di un primato o di una derivazione dell’una dall’altra.
Mito e letteratura sono due declinazioni della stessa attitudine a
rappresentare e ordinare il mondo esterno, che impongono all’interpretazione un approccio antropologico-testuale e che vanno differenziate, se mai, sul piano pragmatico, storico, socioculturale.
Dopo le scoperte di Propp 50 e Van Gennep 51, non sorprende più
che i racconti del folklore come della letteratura si modellino sulle sequenze di azioni dei riti di passaggio, di iniziazione o di successione:
46 A. Sobrero, Il cristallo e la fiamma. Antropologia fra scienza e letteratura, Carocci, Roma 2009, p. 107.
47 Mi riferisco in particolare alla interpretazione svolta da Victor W. Turner, a
partire da Il processo rituale, Morcelliana, Brescia 1972 (ed. orig. 1969), generalizzando e approfondendo le intuizioni di A. Van Gennep, I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino 1981 (ed. orig. 1909).
48 Cfr. Sobrero, Il cristallo e la fiamma, cit., pp. 96-99.
49 Cfr. ivi, cap. IV, per un primo orientamento.
50 Cfr. V.Ja. Propp, Le radici storiche dei racconti di fate, Bollati Boringhieri, Torino 1972 (ed. orig. 1946).
51 Cfr. Van Gennep, I riti di passaggio, cit.
Categorie antropologiche e studi filologico-letterari: un percorso critico
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ma pensare a una genesi solo ritualistica della narrazione forse oggi
non è più possibile, alla luce di questa ipotesi di homo narrans; occorre
cercare delle risposte alle domande emergenti dai nuovi studi e approcci scientifici: narrare è una forma a priori di testualizzazione del mondo, una disposizione genetica della mente, oppure discende dall’universalità dei riti di passaggio? Tutti i racconti dell’umanità si assomigliano perché ripetono la loro radice rituale arcaica, esperienza sociale
fondamentale comune, o perché la mente e il linguaggio configurano il
mondo sub specie narrationis, cioè secondo una sequenza lineare, temporale e causale di eventi?
Voglio sperare che in questo sforzo conoscitivo la filologia e la critica della letteratura possano operare di concerto con l’antropologia
culturale e che tutti i ricercatori delle scienze umanistiche interessati ai
problemi della cultura, invece di lavorare col paraocchi, compiano uno
sforzo serio e ludico di mutua empatia52, serio nel senso di considerare
le loro discipline come interdipendenti all’interno di un campo unificato, ludico nel senso di mettere creativamente e continuamente in discussione i rispettivi pregiudizi.
Abstract
L’articolo propone un approccio alla letteratura medievale in cui i metodi
filologici si combinano con categorie antropologico-culturali; il rendimento
di una simile prospettiva ibrida è verificato nell’analisi del motivo del cuore
mangiato. Il motivo Q 478.1 dell’indice di Thompson si rivela prezioso per
l’analisi comparativa dei testi perché aiuta a spiegare la fascinazione ricorrente
di questo intreccio e la sua valenza mitico-narrativa.
The article proposes an approach to medieval literature in which philological methods are combined with anthropological-cultural categories; the
52 Riprendo ancora qualche espressione di V.W. Turner, Antropologia dell’esperienza, a cura di S. De Matteis, il Mulino, Bologna 2014, p. 65, un antropologo che
non ha mai cessato di sperare in un dialogo costruttivo fra discipline anche molto distanti, ma capaci di incontrarsi in un terreno di confine, una zona liminale in cui fosse possibile manipolare liberamente i reciproci assiomi per sperimentare nuovi metodi
e intravedere nuove soluzioni. Del resto, a riprova di un’ispirazione comune a filologia e antropologia, aveva già detto benissimo G. Pasquali: «Non esistono discipline severamente delimitate, scomparti, Fächer, ma solo problemi che devono essere spesso
affrontati contemporaneamente con metodi desunti dalle più varie discipline» (Storia
della tradizione e critica del testo, Mondadori, Milano 1974, p. XIV [ed. orig. 1952]).
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performance of such a hybrid perspective is verified in the analysis of the motif of the eaten heart. The Q 478.1 motif of Thompson’s index is valuable for
the comparative analysis of texts because it helps to explain the recurrent fascination of this plot and its mythical-narrative value.
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