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La politica e gli Stati Problemi e figure del pensiero occidentale Terza edizione A cura di Raffaella Gherardi 3a edizione, aprile 2022 2a edizione Studi Superiori, 2011 (13 ristampe) 1a edizione Università, 2004 (5 ristampe) © copyright 2022 by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Fregi e Majuscole, Torino Finito di stampare nell’aprile 2022 da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG) ISBN 978-88-290-1408-8 Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico. Indice Premessa alla terza edizione di Raffaella Gherardi 13 Premessa alla seconda edizione di Raffaella Gherardi 17 Premessa di Raffaella Gherardi 21 Parte prima 1. Gli Stati, la guerra, la pace tra forme della politica e dell’economia di Raffaella Gherardi 25 2. Cesure, innovazioni e ricomposizioni. Rivoluzione e costituzioni negli Stati Uniti e in Francia di Maurizio Ricciardi 40 3. Diritti e storia costituzionale di Gustavo Gozzi 50 4. Libertà e uguaglianza nel pensiero politico moderno di Sandro Mezzadra 64 7 la politica e gli stati 5. Ordine internazionale e diplomazia di Michele Chiaruzzi 73 6. Il pensiero politico delle donne di Raffaella Baritono 83 7. Un regime per la società di massa: il totalitarismo di Francesco Raschi 97 8. Problemi del liberalismo contemporaneo di Giovanni Giorgini 109 9. Democrazia oggi di Nicola Antonetti 124 10. Globalizzazione: una mappa preliminare di Annalisa Furia 138 11. Populismo, populismi e democrazia di Damiano Palano 147 12. La «sparuta minoranza»: classi politiche e potere nella tarda modernità di Lorenzo Ornaghi 158 Parte seconda Machiavelli di Giovanni Giorgini 171 8 indice Bodin di Anna Maria Lazzarino Del Grosso 181 Grozio di Carla Faralli 191 Hobbes di Maurizio Ricciardi 200 Locke di Francesco Raschi 210 Astell di Eleonora Cappuccilli 220 Montesquieu di Saffo Testoni Binetti 229 Hume di Elena Irrera 242 Rousseau di Saffo Testoni Binetti 252 Smith di Adelino Zanini 265 Il federalista di Giovanni Giorgini 276 9 la politica e gli stati Burke di Luca Scuccimarra 285 Sieyès di Luca Scuccimarra 295 De Gouges di Raffaella Gherardi 305 Wollstonecraft di Roberta Adelaide Modugno 313 Kant di Gustavo Gozzi 322 Fichte di Carla De Pascale 334 Hegel di Massimiliano Tomba 345 Madame de Staël di Giuseppe Sciara 356 Constant di Giuseppe Sciara 365 Tristan di Cristina Cassina 375 10 indice Tocqueville di Raffaella Gherardi 383 Mill di Elena Antonetti 394 Marx di Maurizio Ricciardi 405 Mosca di Raffaella Gherardi 417 Weber di Francesco Tuccari 427 Luxemburg di Federico Trocini 438 Gramsci di Michele Filippini 447 Potter Webb di Roberta Ferrari 455 Dewey di Raffaella Baritono 464 Weil di Michela Nacci 475 11 la politica e gli stati Kelsen di Giorgio Bongiovanni 484 Schmitt di Francesco Raschi 495 Morgenthau di Michele Chiaruzzi 505 Arendt di Olivia Guaraldo 514 Aron di Francesco Raschi 525 Wight di Michele Chiaruzzi 535 Rawls di Alina Scudieri 544 12 Gramsci di Michele Filippini Antonio Gramsci nasce ad Ales, in Sardegna, il 22 gennaio 1891. Dopo aver frequentato il liceo classico a Cagliari si trasferisce a Torino nel 1911 grazie a una borsa di studio, iscrivendosi alla facoltà di Lettere. Lì inizia a frequentare gli ambienti socialisti e nella seconda metà degli anni Dieci diventa progressivamente una delle penne più importanti della pubblicistica di partito: prima al “Grido del popolo”, poi nella redazione torinese dell’“Avanti!”, fino alla fondazione e direzione dell’“Ordine Nuovo”. Proprio quest’ultimo giornale, espressione politica del movimento di occupazione delle fabbriche nel biennio rosso (1919-20), sarà una fucina di elaborazione teorica e politica del gruppo dirigente (Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini) del futuro Partito comunista d’Italia (pcd’i). L’imprinting politico di Gramsci avviene durante gli anni tumultuosi della Prima guerra mondiale ed è segnato irreversibilmente della presa del potere da parte dei bolscevichi nella Russia del 1917. È infatti tra i primi in Italia a capire la svolta epocale impressa della Rivoluzione d’Ottobre, così inaspettata dai teorici marxisti positivisti ed economicisti da sembrare, nelle parole di Gramsci, una Rivoluzione contro “Il Capitale” (Masse e partito. Antologia 1910­1926, pp. 106-9). Il ruolo di Gramsci all’interno del pcd’i nei suoi primi due anni di vita (1921-23) è però secondario, il partito viene infatti guidato da Amadeo Bordiga e dalla sua frazione astensionista, intransigente e che rifiuta ogni forma di collaborazione con la socialdemocrazia per una politica di fronte unico contro il fascismo. Gramsci nel frattempo è a Mosca, come rappresentante all’Internazionale (1922-23), dove conosce la sua futura moglie Giulia Schucht, da cui avrà due figli: Delio (1924) e Giuliano (1926), che non vedrà mai, essendo nato solo due mesi prima del suo arresto. Nel dicembre 1923, non potendo tornare direttamente in Italia per 447 la politica e gli stati i pericoli legati all’avvento del regime fascista, si trasferisce da Mosca a Vienna con il mandato di ricostruire il pcd’i falcidiato dagli arresti. Nel gennaio 1924 fonda “l’Unità”, che rimarrà il giornale del partito fino al suo scioglimento alla fine del secolo, il 6 aprile viene eletto alla Camera e a maggio torna in Italia, protetto dalle guarentigie parlamentari, in un clima politico che si appresta a diventare rovente per l’imminente omicidio di Giacomo Matteotti. È ora di fatto la figura più importante del partito, nel 1925 lavora al consolidamento del nuovo gruppo dirigente e finalmente, il 26 gennaio 1926 viene eletto formalmente segretario del pcd’i al congresso di Lione. Appena qualche mese più tardi, in seguito alla stretta del regime dopo l’attentato di Anteo Zamboni a Mussolini a Bologna, Gramsci viene arrestato il 7 novembre 1926, trasferito più volte – al confino a Ustica e a San Vittore a Milano – viene poi condannato dal Tribunale speciale a vent’anni di reclusione e assegnato alla casa penale speciale di Turi, vicino a Bari. Lì rimane dal luglio 1928 fino al novembre 1933, quando le sue precarie condizioni di salute lo obbligano al ricovero in una clinica a Formia, dove nell’ottobre 1934 ottiene un’ormai inutile libertà condizionata. Nell’agosto 1935 viene trasferito nuovamente in una clinica romana, dove muore per un’emorragia cerebrale il 27 aprile 1937, solo pochi giorni dopo aver ottenuto la piena libertà. Le Tesi di Lione e la “questione meridionale” Al congresso clandestino che lo elegge segretario Gramsci presenta un documento politico diventato famoso come Tesi di Lione, dove viene condensata quell’analisi della struttura della società italiana ritenuta imprescindibile per l’azione politica del partito. Già nel 1923 aveva scritto: Perché i partiti proletari italiani sono sempre stati deboli dal punto di vista rivoluzionario? Perché hanno fallito quando dovevano passare dalle parole all’azione? Essi non conoscevano la situazione in cui dovevano operare, essi non conoscevano il terreno in cui avrebbero dovuto dare la battaglia. Pensate: in più di trenta anni di vita, il partito socialista non ha prodotto un libro che studiasse la struttura economico-sociale dell’Italia. Non esiste un libro che studi i partiti politici italiani, i loro legami di classe, il loro significato. 448 gramsci Perché nella Valle del Po il riformismo si era radicato così profondamente? Perché il partito popolare, cattolico, ha più fortuna nell’Italia settentrionale e centrale che nell’Italia del sud, dove pure la popolazione è più arretrata e dovrebbe quindi più facilmente seguire un partito confessionale? Perché in Sicilia i proprietari terrieri sono autonomisti e non i contadini, mentre in Sardegna sono autonomisti i contadini e non i grandi proprietari? (Che fare?, in ivi, pp. 277-8) Nelle Tesi di Lione c’è l’assunzione della questione meridionale come elemento centrale della politica nazionale del pcd’i. Solo la classe operaia settentrionale può infatti risolvere lo storico dualismo territoriale italiano, alleandosi con i contadini meridionali e rompendo i blocchi storici passivizzanti che tengono insieme industriali e operai al nord, agrari e contadini al Sud. Questo tema è anche al centro dello scritto Alcuni temi della qui­ stione meridionale – lasciato incompiuto da Gramsci al momento del suo arresto – che analizza il blocco agrario meridionale soprattutto dal lato della sua tenuta ideologica. Inizia qui una riflessione sul ruolo e sul tipo degli intellettuali, approfondita successivamente nei Quaderni del carcere, che nel Meridione sono o di altissimo profilo ma del tutto avulsi dalle necessità delle masse contadine – come Benedetto Croce e Giustino Fortunato che svolgono una funzione cosmopolita più che nazionale –, oppure di bassa lega ed estrazione, votati al controllo e alla repressione delle masse contadine: L’intellettuale meridionale esce prevalentemente da un ceto che nel Mezzogiorno è ancora notevole: il borghese rurale, cioè il piccolo e medio proprietario di terre che non è contadino, che non lavora la terra, che si vergognerebbe di fare l’agricoltore, ma che dalla poca terra che ha, data in affitto o a mezzadria semplice, vuol ricavare: di che vivere convenientemente, di che mandare all’università o in seminario i figlioli, di che far la dote alle figlie, che devono sposare un ufficiale o un funzionario civile dello Stato. Da questo ceto gli intellettuali ricevono un’aspra avversione per il contadino lavoratore, considerato come macchina da lavoro che deve esser smunta fino all’osso e che può essere sostituita facilmente data la superpopolazione lavoratrice (La quistione meridionale, in Masse e partito. Antologia 1910­1926, p. 381). L’importanza data ai legami di dipendenza ideologica oltre che a quelli di tipo economico nella definizione dei “gruppi sociali subalterni” (Quaderni del carcere, pp. 2277-94) come i contadini meridionali è 449 la politica e gli stati quindi una caratteristica del pensiero gramsciano già prima del carcere. La formazione di un nuovo «blocco storico» tra operai e contadini, in opposizione all’alleanza di interessi tra agrari e industriali, passa per Gramsci anche da un’emancipazione culturale, una «riforma intellettuale e morale» (ivi, p. 1561) che coinvolga le masse come aveva fatto la Riforma protestante all’inizio dell’età moderna. Se nella biografia gramsciana gli anni Venti sono caratterizzati dal tentativo di “tradurre” la Rivoluzione d’Ottobre in Occidente, gli anni Trenta trascorsi in un carcere fascista sono caratterizzati dalla riflessione sul perché della sconfitta di quel tentativo. Gramsci ripensa il lascito marxiano e leniniano alla luce delle specificità delle moderne società caratterizzate dallo sviluppo capitalistico, in un contesto di consolidamento dei regimi fascisti e dopo la sconfitta della rivoluzione in Occidente. I Quaderni sono quindi una fucina di nuovi strumenti concettuali, elaborati all’interno di campi disciplinari diversi – letteratura, storia, filosofia, teoria politica, ma anche linguistica, giornalismo e sociologia –, finalizzati a ripensare il marxismo dal lato della sua teoria politica, come testimonia la centralità di Machiavelli. Immaginare una rivoluzione che contenga al suo interno anche una riforma intellettuale significa però formulare una nuova teoria della società e identificare un nuovo soggetto: i Quaderni si incaricano di abbozzare la prima e di alludere al secondo. I Quaderni del carcere: la società, lo Stato, il partito I Quaderni del carcere sono una raccolta frammentata – ma piena di connessioni interne perché pensata per una successiva sistematizzazione in monografie – di note di commento, appunti, riflessioni e brevi saggi, dalla quale emergono chiaramente alcuni assi portanti della riflessione gramsciana. Uno di questi è la formulazione di un nuovo rapporto tra la società e lo Stato: In Oriente lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; nell’Occidente tra Stato e società civile c’era un giusto rapporto e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte (ivi, p. 866). 450 gramsci La diagnosi della sconfitta della rivoluzione in Occidente si appunta sulla diversa struttura della società in Russia e nei paesi ad alto sviluppo capitalistico. In Germania, Francia, Inghilterra, ma anche in Italia, la società civile, composta da giornali, partiti, sindacati, scuole, associazioni di cultura, chiese, circoli e club di vario genere – con tutto il suo corredo di intellettuali, funzionari e delle loro rispettive ideologie –, aveva impedito l’abbattimento rivoluzionario delle istituzioni statali. I comunisti mancavano quindi di un’analisi approfondita di questo nuovo Stato, che per Gramsci prende le forme – secondo una fortunata definizione di Christine Buci-Glucksmann – di uno Stato allargato, che comprende oltre agli apparati governativi – quelli che Gramsci chiama «società politica» – anche la società civile. Nella riformulazione gramsciana di «Stato = società politica + società civile, cioè egemonia corazzata di coercizione» (ivi, pp. 763-4), Stato e società sono sempre più interconnessi e non possono più essere considerati due ambiti separati (politica contro economia, forza contro consenso, pubblico contro privato, potere contro libertà). La società civile acquisisce un ruolo politico – come trincea avanzata del dominio statale –, ma al tempo stesso lo Stato acquisisce un ruolo sociale – “creando” una società a sua immagine e somiglianza: «Lo Stato moderno sostituisce al blocco meccanico dei gruppi sociali una loro subordinazione all’egemonia attiva del gruppo dirigente e dominante, quindi abolisce alcune autonomie, che però rinascono in altra forma, come partiti, sindacati, associazioni di cultura» (ivi, p. 2287). Per abbattere questo nuovo Stato, più solido di quello autocratico zarista e per il quale non basta prendere d’assalto il Palazzo d’Inverno, è necessaria una nuova teoria della rivoluzione. Primo passo per questa riformulazione è l’estensione della temporalità rivoluzionaria, «la quistione di teoria politica più importante posta dal periodo del dopo guerra» (ivi, p. 801) secondo Gramsci, ovvero il passaggio dalla guerra di movimento, tipica delle fasi di intensa vita politica come il 1848 o la Prima guerra mondiale, a quella di posizione, che comporta lunghi sforzi organizzativi e un rafforzamento tanto materiale quanto culturale della propria parte. Non adeguare la propria strategia alle condizioni storiche della lotta politica, come aveva fatto Mazzini dopo il 1848, è per Gramsci, allievo di Machiavelli, un peccato capitale. Un secondo passo, derivato dal primo, è l’importanza del momento egemonico nei rapporti di forza tra classi sociali (ivi, pp. 1578-89). 451 la politica e gli stati Il concetto gramsciano che ha riscosso più fortuna – egemonia – nasce già nel primo quaderno come la strategia politica da adottare nella guerra di posizione: una classe è dominante in due modi, è cioè “dirigente” e “dominante”. È dirigente delle classi alleate, è dominante delle classi avversarie. Perciò una classe già prima di andare al potere può essere “dirigente” (e deve esserlo): quando è al potere diventa dominante ma continua ad essere anche “dirigente” […]. Ci può e ci deve essere una “egemonia politica” anche prima della andata al Governo e non bisogna contare solo sul potere e sulla forza materiale che esso dà per esercitare la direzione o egemonia politica (ivi, p. 41). Un gruppo sociale è egemone quando riesce a passare dalla fase economico-corporativa, nella quale difende esclusivamente i propri interessi di corpo, a quella di direzione, nella quale è in grado di fare delle concessioni rispetto ai propri interessi immediati per ambire a costruire un nuovo blocco storico in grado di sostenere uno Stato. Un terzo passo – testimone di una riformulazione che non segue le linee del revisionismo e del riformismo ma rimane saldamente ancorata alla linea rivoluzionaria leniniana – è il mantenimento di un’alterità radicale, nonostante la capacità egemonica, rispetto alle classi dominanti: Cosa si può contrapporre, da parte di una classe innovatrice, a questo complesso formidabile di trincee e fortificazioni della classe dominante? Lo spirito di scissione, cioè il progressivo acquisto della coscienza della propria personalità storica, spirito di scissione che deve tendere ad allargarsi dalla classe protagonista alle classi alleate potenziali (ivi, p. 333). Infine, per una nuova teoria della rivoluzione occorre un nuovo strumento organizzativo, che sappia cogliere il passaggio alla politica di massa acquisendone le novità. Occorre quindi un partito organizzato per la guerra di posizione, capace di costruire egemonia attraverso una «compartecipazione attiva e consapevole» (ivi, p. 1430) delle masse, ma allo stesso tempo capace di un’azione unitaria. Questo partito per Gramsci deve svolgere le funzioni di un moderno principe: «Il moderno principe, il mito-principe non può essere una persona reale, un individuo concreto, può essere solo un organismo; un elemento di società complesso nel quale già abbia inizio il concretarsi di una volontà collettiva riconosciuta e affermatasi parzialmente nell’azione» (ivi, p. 1558). 452 gramsci Il riferimento a Machiavelli è qui duplice, da un lato a significare la necessità di sintesi e unità della volontà politica espressa dal principe “popolare” auspicato nell’omonima opera, dall’altro come stimolo a scrivere una versione aggiornata di quest’ultima, come strumento di azione politica che tracci la strada per la formazione di una «volontà collettiva» e di una «riforma intellettuale e morale» (ibid.). I Quaderni del carcere: la ricchezza di temi e la loro fortuna La riformulazione del marxismo come “filosofia della prassi” attraverso una nuova teoria dello Stato, della società e del partito, pur informando tutte le note gramsciane, non esaurisce la ricchezza e la varietà dei temi presenti nei Quaderni del carcere. Nel quaderno 22, intitolato Americanismo e fordismo, Gramsci si occupa delle trasformazioni del lavoro e di come queste implichino anche la “produzione” di «un tipo nuovo di lavoratore e di uomo», capace di creare un nuovo «nesso psico-fisico» (ivi, p. 2165) che superi quello del lavoro artigianale. In questo sforzo, la “rivoluzione” fordista non si limita a riorganizzare i processi lavorativi sulla base delle indicazioni del taylorismo, ma spinge per la creazione di meccanismi in grado di modificare gli stili di vita, la moralità, il conformismo necessari a sostenere questo nuovo sforzo lavorativo (proibizionismo, regolazione dell’etica sessuale, puritanesimo). Nel breve Quaderno 25 intitolato Ai margini della storia (Storia dei gruppi sociali subalterni) è evidente il tentativo gramsciano di allargare la nozione di classe e problematizzare quello della sua “coscienza”. L’unificazione dei gruppi subalterni non è un processo scontato o garantito, ma frutto di iniziativa politica; la possibilità stessa che essi abbiano una storia identificabile e coerente dipende dalla loro capacità di passare alla fase egemonica. Come questo passaggio sia possibile, con quale grado di autonomia dal basso o di direzione dall’alto, rimane argomento di discussione del vasto campo dei subaltern studies che da queste poche pagine ha preso avvio. Altri temi cruciali dei Quaderni, non necessariamente raccolti nei cosiddetti quaderni speciali tematici come i due precedenti, sono il ruolo della letteratura popolare e dei romanzi d’appendice nella formazione del senso comune, la rilettura del Risorgimento come rivoluzione passiva nella quale i moderati hanno mantenuto l’egemonia, la distinzione tra intellettuali tradizio453 la politica e gli stati nali che si rappresentano come ceto autonomo e intellettuali organici a una classe, la critica a Croce e alla sua traduzione speculativa della filosofia della prassi. I Quaderni non sono quindi semplicemente riducibili a una tappa dell’evoluzione interna della tradizione marxista – pur essendo anche questo, come hanno mostrato Ernesto Laclau e Chantal Mouffe nel loro Egemonia e strategia socialista. Essi hanno infatti attraversato diverse e prolungate fasi di interpretazione e riutilizzo – dalla prima pubblicazione in Italia nel dopoguerra fino alla loro diffusione globale negli ultimi decenni – che hanno in qualche modo influito sulla loro ricezione contemporanea, oggi assai lontana dalle condizioni e dal contesto storico loro proprio. Se questa lontananza rischia costantemente di farne fraintendere il significato originale (ma esiste anche un solido campo di studi filologici), la moltiplicazione degli usi di Gramsci permette comunque un affascinante spaccato sociologico e politico della società mondiale globalizzata: dalle analisi gramsciane delle primavere arabe a quelle culturaliste e postcoloniali, dalle teorie neogramsciane delle relazioni internazionali agli studi antropologici e geografici, dagli studi pedagogici ricavati dalle Lettere dal carcere agli studi linguistici. Bibliografia gramsci a., Quaderni del carcere, 4 voll., edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 2014. id., Masse e partito. Antologia 1910­1926, a cura di G. Liguori, Editori Riuniti, Roma 2017. burgio a., Gramsci. Il sistema in movimento, DeriveApprodi, Roma 2014. d’orsi a., Gramsci. Una nuova biografia, Feltrinelli, Milano 2018. filippini m., Una politica di massa. Antonio Gramsci e la rivoluzione della società, Carocci, Roma 2015. green m. (ed.), Rethinking Gramsci, Routledge, London-New York 2013. liguori g., Gramsci conteso. Interpretazioni, dibattiti e polemiche (1922­ 2012), Editori Riuniti University Press, Roma 2012. liguori g., voza p. (a cura di), Dizionario gramsciano (1926­1937), Carocci, Roma 2009. thomas p. d., The Gramscian Moment: Philosophy, Hegemony and Marx­ ism, Brill, Leiden 2009. 454