Mentre ci avviamo al termine del 2023, c’è da segnalare un anniversario che non ha ricevuto la giusta attenzione. Nel 1983, giusto quarant’anni fa, sulle strade del Veneto apparvero alcune enormi scritte: «Forza Etna». Pochi mesi prima si era verificata un’imponente eruzione del vulcano siciliano, provocando una certa preoccupazione sulle possibili conseguenze. Ma in Veneto dopo erano apparse queste scritte, insieme ad altre come «Etna sei grande», «A morte i teroni», «Fora i romani dal Veneto» e «Autonomia per il Veneto».

Erano i mesi della campagna elettorale per le elezioni politiche. I messaggi vennero attribuiti da diversi commentatori ad una formazione di recente costituzione, la Liga Veneta, che venne alla ribalta per questa vicenda e per alcune discutibili posizioni verso i meridionali. Il risultato elettorale registrò un considerevole calo di voti del primo partito italiano, la Democrazia Cristiana, che a livello nazionale raccolse il 32,9% dei voti, perdendo quasi sei punti rispetto alle precedenti politiche.

Fu uno dei cali più forti della sua storia. In Veneto questi consensi si orientarono in gran parte verso il nuovo soggetto politico. La Liga Veneta ottenne un risultato elettorale significativo e in alcune zone sfiorò il 10% dei consensi. Sull’onda di 125.000 voti raccolti per la Camera e oltre 90.000 per il Senato, riuscì a far eleggere un proprio esponente in ciascun ramo del Parlamento. Era la prima volta che accadeva ma da quel momento non sarebbe mai mancato un rappresentante leghista fra deputati e senatori.

In Veneto erano storicamente radicati atteggiamenti come il localismo e la sfiducia verso lo Stato, la DC però li aveva stemperati anche grazie alla marcata identità religiosa. Tuttavia, la secolarizzazione e lo scollamento fra realtà locale e politica «romana» favorirono lo spostamento dei voti dal partito cattolico alla Liga e un ritorno alla chiusura nel proprio territorio. Una dinamica che in poco tempo si sarebbe estesa anche ad altre regioni, a partire dalla Lombardia. La Lega Lombarda registrò una rapida crescita e Umberto Bossi nel 1987 venne eletto in Senato (da cui l’appellativo Senatùr).

Queste forze politiche erano frutto della sensibilità regionalista che iniziava a diffondersi in Italia. Poco più di dieci anni prima, infatti, erano state create le regioni a statuto ordinario. In realtà l’orientamento era di dar vita ad un regionalismo solidale. Non per caso in diversi statuti dei nuovi enti del Nord vennero inseriti espliciti riferimenti al meridione. Ad esempio, in quello del Piemonte era scritto: «La Regione, nella politica di piano, opera per superare gli squilibri territoriali, economici, sociali e culturali esistenti nel proprio ambito e fra le grandi aree del Paese, con particolare riferimento allo sviluppo del Mezzogiorno». Gli esponenti leghisti però spinsero con forza su un approccio opposto al regionalismo solidale. Fra i loro obiettivi polemici c’erano proprio le politiche per il Sud.

Nella seconda parte degli anni Ottanta le leghe acquistarono molto consenso nei propri territori, anche per via del pessimo utilizzo dei fondi per il Mezzogiorno fatto in quel periodo. Trovarono nella cosiddetta «questione settentrionale» un orizzonte rivendicativo comune, contrapposto alla questione meridionale, fino a unificarsi nella Lega Nord.

Fra 1992 e 1994, nel pieno della bufera di Tangentopoli, Bossi e i suoi compagni ebbero un ruolo cruciale nella fine della Prima Repubblica. Nello stesso periodo ottennero anche la cancellazione dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, che era stato un pilastro delle politiche pubbliche in età repubblicana. Da quel momento i problemi delle aree meridionali uscirono dall’agenda politica del Paese, nonostante molti problemi non fossero stati risolti, e la sfida cruciale divenne lo sviluppo delle regioni più sviluppate. Non erano passati moltissimi anni dalle scritte «Forza Etna», ma la storia dell’Italia e soprattutto del Mezzogiorno era molto cambiata.

© RIPRODUZIONE RISERVATA